Un magico incontro di lettura di Ivan Illich a Pisa

Di Maria Elena Bertoli

 

Il giardino annesso a un’aula studio universitaria (la Pacinotti di Pisa) frequentato da giovani studenti che si ritrovano nel tardo pomeriggio in un’atmosfera tranquilla, di altri tempi.

Il gruppo di studenti universitari “No green pass” di Pisa, che vuole capire le radici dei mali del presente e che per oggi, venerdì 7 ottobre 2022 ha messo in piedi un incontro-lettura su “La convivialità” di Ivan Illich.

Tramite i social, il gruppo illichiano di Lucca aveva diffuso la notizia anche al circolo di Lucca del Movimento Decrescita Felice. Per cui ne vengo a conoscenza, prendo il treno dalla Garfagnana e vado a Pisa.

Una delegazione di illichiani della lucchesia – tutti ampiamente ultracinquantenni – va a mettersi in cerchio, in quel giardino, assieme a giovani venuti a studiare all’ateneo di Pisa da tutt’Italia.

Ne nasce un momento quasi magico, allietato, in puro stile illichiano, da una scatolina piena di gustosissimi biscotti fatti in casa, che nel cerchio, ogni tanto, passa di mano in mano.

Fabio di Genova, dottorando in fisica, introduce i temi del libro “La convivialità” di Ivan Illich, un libro-bomba, forse la più radicale messa in discussione della civiltà industriale, pubblicato nel 1973, proprio negli anni in cui il frutto dell’albero paradisiaco dello sviluppo era nella sua piena maturità e pochissimi erano in grado di vedere i suoi risvolti tragici, i suoi effluvi velenosi.

Fabio, in maniera chiarissima, snocciola gli argomenti di Illich: l’ipertrofia della macchina produttiva nell’epoca industriale, il fatto che la produzione industriale dei beni, ma soprattutto dei servizi, fa sì che la gente stia male, perché sistematicamente deprivata di ogni capacità e che le persone diventino, se operai, schiavi della macchina, se impiegati, meccanismi di essa. E ancora: il fatto che la società industriale ha oltrepassato la soglia di sicurezza e ha creato un meccanismo gigantesco, una macchina del sempre più grande, che va avanti a oltranza senza che si sappia più chi decide dove andare e perché.

La società industriale, per Illich, non garantisce tre cose: sopravvivenza, equità e autonomia. In essa il gigantismo dell’apparato produttivo finisce per incatenare l’uomo come schiavo volontario; in essa affrontare autonomamente i problemi della vita quotidiana, per esempio farsi una casa, curarsi da soli, è diventato quasi impossibile, se non vietato.

Scopriamo insomma che Illich ha visto, con 50 anni di anticipo, il modo in cui siamo ridotti oggi: passivi consumatori di soluzioni pronte, di merci preconfezionate e di notizie e pensieri predigeriti, pronti all’uso che ci vengono somministrati, con metodo ed efficienza, dalla scuola e dai media. Incorporati in un ingranaggio sociale che ci regala una vita standardizzata, grigia e triste.

Si tratta allora, per Illich, di liberare il nostro immaginario per provare anche solo a concepire forme sociali nelle quali le persone riprendano il loro potere e si svincolino dalla dittatura degli esperti. Mentre oggi – commenta Valentina – il tecnico arriva, ti dice quello che devi fare e tu ti adegui.

Aleggia un certo sgomento fra gli studenti del cerchio quando, confrontando la realtà che vivono ogni giorno con i brani di Illich, si accorgono che le due cose combaciano.

La via d’uscita da questo asfittico presente sta, per Ivan Illich, nella società conviviale dove viene fatto un uso adeguato dello strumento tecnico il quale deve servire a potenziare gli esseri umani nelle loro capacità e nei loro poteri decisionali e non a deprivarli di essi. Si tratta di una società che si rifiuta di produrre e di usare strumenti “di secondo livello” ovvero strumenti che non potenzino il braccio umano, ma lo sostituiscano. Si tratta di una società che – si badi bene – non rifiuta affatto la tecnica ma la valorizza davvero, facendone un uso appropriato.

Valentina e Chiara si alternano poi nella lettura lenta e cadenzata del testo; emergono i primi commenti, in un clima generale di ascolto intenso.

Il grande Aldo Zanchetta, già presidente della Scuola della pace della provincia di Lucca, nonché organizzatore dell’ultima conferenza di Illich tenutasi a Lucca nell’ottobre 2002, due mesi prima della sua morte, è lì insieme a noi. Egli è l’autorità morale di quel cerchio ed è lui che, dopo aver ascoltato ogni parola, ci racconta della sua amicizia con Illich, che – dice Aldo – non era semplicemente un autore che scriveva delle belle idee su un libro, ma era un uomo che credeva profondamente in quello che scriveva e che praticava quello che credeva.

Ci racconta poi dell’attuale esperienza di “Mondeggi bene comune”, nel Chianti, una fattoria con 12.000 ulivi in stato di abbandono che, negli ultimi anni, è stata occupata e recuperata in una preziosa azione dal basso e che rischia oggi di essere distrutta da inopportuni interventi istituzionali e finanziari.

A Mondeggi vive una comunità che custodisce gratis un prezioso bene comune. Ma questo per la politica non va bene. No! Si deve istituzionalizzare tutto, si devono fare arrivare gli esperti, i finanziamenti, si deve inquadrare, irreggimentare: le istituzioni devono, in ultima analisi, soffocare le comunità e dimostrare che non è cosa idonea che persone e comunità riconquistino la loro autonomia. Proprio per questo motivo Aldo Zanchetta ha proposto che in dicembre, in occasione dei 20 anni dalla morte di Illich, i tre giorni del Convivio Illichiano si tengano proprio a Mondeggi, in quel luogo simbolico di resistenza conviviale.

Arrivato l’imbrunire anche in quello spazio calmo, i ragazzi del comitato “no Green pass” di Pisa cominciano a condividere il riso, la frittata e il vino che avevano preparato. Io li saluto per rientrare in Garfagnana, portando dentro di me – come un’eco, come un sogno – quell’incontro in cerchio così umano, quel dialogo fra generazioni così diverse intorno ad alcuni testi chiave di Illich, pensatore profetico e uomo a tutto tondo che insegna a noi moderni l’antica arte del soffrire. Uno dei pochi fari che ci indicano una via di liberazione da questa inflessibile trappola tecno-socio-economica che soffoca il nostro triste presente.