Di Timothée Parrique, tradotto da Susanne Giovannini del Gruppo Internazionale. Il rapporto IPCC a cui ci si riferisce è quello del terzo gruppo di lavoro (Mitigation of Climate Change): qui potete trovare il report ufficiale (AR6 WGIII), qui l’articolo originale di Parrique. Il commento al secondo rapporto (sempre di Parrique) è già stato tradotto in questo altro articolo.

Benché abbia passato due giorni a leggere in modo compulsivo il rapporto dell’IPCC “Mitigation of climate change “ (Mitigazione del cambiamento climatico), ho ancora difficoltà a credere che questo sia veramente reale. Il documento è, infatti, pieno di affermazioni molto forti che, a loro volta, comportano implicazioni radicali che potrebbero, a dir poco, rappresentare uno spartiacque nella storia delle politiche sul clima. Si ha così tanto da dire, che mi vedo costretto a suddividere le mie analisi in vari articoli.

Il primo di questi riguarda il concetto di decrescita (degrowth). Il termine è citato 7 volte, e più di 21 volte in bibliografia, in un rapporto che consta di 2913 pagine. Questo è, più o meno, lo stesso numero di citazioni che sono presenti nel rapporto sull’adattamento (Impacts, Adaptation and Vulnerability) in cui vi sono complessivamente 27 menzioni (15 nel testo e 12 in bibliografia). Come nel caso del rapporto sull’adattamento, il concetto di “decrescita” non compare nella sintesi per i decisori politici (Summary for Policymakers) e nella sintesi tecnica (Technical Summary), anche se vedremo come l’idea di base sia comunque riscontrabile (questo sarà l’argomento di un altro articolo).

Ci sono quattro punti nel rapporto in cui  la decrescita viene sottoposta ad esame. Nel Capitolo 1: “Introduction and framing” (Introduzione e struttura), la decrescita è presentata come un concetto alternativo di sostenibilità con particolare attenzione al ben-essere (well-being). Nel Capitolo 3: “Mitigation pathways compatible with long-term goals (Percorsi di mitigazione compatibili con obiettivi a lungo termine), la decrescita è dibattuta come possibile caratteristica di scenario nell’ambito dei modelli che delineano percorsi di mitigazione. Nel Capitolo 5: Demand, services and social aspects of mitigation” (Domanda, servizi e aspetti sociali della mitigazione) il concetto viene evocato nuovamente nel contesto degli scenari possibili e, infine, nel Capitolo 17: Accelerating the transition in the context of sustainable development” (Accelerare la transizione nel contesto dello sviluppo sostenibile) il termine è menzionato per due volte in una discussione sulla transizione.

Decrescita e benessere

La prima menzione si trova nel Capitolo 1: “Introduction and framing” (Introduzione  e struttura) e in una sezione dal titolo: “Concetti ed elementi quadro per integrare la mitigazione del clima con lo sviluppo” (Concepts and frameworks for integrating climate mitigation and development). Dopo qualche paragrafo in cui si discute della rilevanza del concetto di sviluppo sostenibile, ci sono due lunghi paragrafi che presentano nove “concetti alternativi di sostenibilità”: l’economia della ciambella, la modernizzazione ecologica, l’economia mainstream, l’economia verde, la crescita verde, la decrescita, la post-crescita, il post-sviluppo e semplicemente la transizione.

Dopo aver descritto la crescita verde, gli autori aggiungono che: “i critici tuttavia argomentano che la green economy, in definitiva, enfatizza la crescita economica a detrimento di altri importanti aspetti del benessere umano, come la giustizia sociale  (Adelman 2015; Death 2014; Kamuti 2015). Inoltre, affermano che la sfida centrale è contenuta nell’idea che sia possibile disaccoppiare l’attività economica e la crescita (misurata dall’incremento del PIL) dall’uso sempre più intenso di risorse biofisiche (materiali grezzi, energia) (Jackson and Victor 2019; Parrique et al. 2019; Hickel and Kallis 2020; Haberl et al. 2020; Vadén et al. 2020). Il termine decrescita viene menzionato anche nella frase successiva: “La letteratura sulla decrescita (degrowth), sulla post-crescita (post growth) e sul post-sviluppo (post development) mette in discussione il concetto di sostenibilità unita all’imperativo di una maggiore crescita, specialmente nei paesi già industrializzati. Si argomenta, inoltre, come la prosperità, insieme al “buon vivere” (Good Life), non siano intrinsecamente legati in modo immutabile alla crescita economica (Escobar 2015; Asara et al. 2015; Kallis 2019; Latouche 2018, vedi anche la sezione 5.2.1 nel Capitolo 5)” (Cap. 1, p. 41).

L’affermazione ci riconduce alla sottosezione 5.2.1.: “Metrics of well-being and their relationship to GHG emissions” (Le metriche per misurare il benessere e la loro relazione con l’emissione dei gas serra) che può essere trovata nel Capitolo 5: “Domanda, servizi e aspetti sociali della mitigazione” (Chapter 5: Demand, services and social aspects of mitigation). Si può dire molto su quanto sia rimarchevole il Capitolo 5. A questo, infatti, dedicherò appositamente un altro articolo. Al momento, però, andiamo ad analizzare qualche rilevante passaggio sul tema della decrescita e del benessere.

Partiamo dall’idea di “minimi e massimi standard di consumo”. “La riduzione delle emissioni di gas serra che sono associate agli alti livelli di consumo e alla produzione di risorse materiali da parte di coloro che si trovano molto al di sopra dei livelli DLS (Decent Living Standard, lo standard di vita decente), è una potenzialità per affrontare sia il problema delle emissioni, che dell’ineguaglianza dell’impronta ecologica derivata dall’energia e dalle emissioni (Otto et al. 2019)” (Cap. 5, p. 18). Il titolo del documento citato è: “Spostare l’attenzione dai molto poveri ai molto ricchi” (Shift the focus from the super-poor to the super-rich). “La sfida in questo caso consiste nell’affrontare il tema dei limiti massimi del consumo. Quando il consumo è volto al soddisfacimento dei bisogni elementari, ogni riduzione dello stesso comporta carenze nella soddisfazione dei bisogni umani. Accade il contrario nel caso che il consumo ecceda i limiti dei bisogni elementari (Cap. 5, p. 18). L’attenzione posta sui livelli di consumo elevati, con l’obiettivo di ridurre i consumi stessi (ponendo un limite massimo al consumo), è un aspetto importante della decrescita.

Questo ci permette di affrontare un altro paragrafo della stessa sottosezione: “Dimensioni vitali del benessere correlate con il consumo, ma solo fino a una certa soglia”; qui si riferisce di “una strategia di mitigazione per garantire i livelli d’erogazione dei beni e dei servizi essenziali secondo gli standard del DLS (Decent Living Standard, lo standard di vita decente) che vede criticamente il consumo oltre il punto in cui cala il ritorno derivato dalla soddisfazione dei bisogni” (Cap. 5, p. 19). Questo è quello che gli studiosi, critici al concetto di crescita, chiamano “l’ipotesi della saturazione” (saturation hypothesis). In quest’ultima, si sostiene che ridurre il reddito pro capite nei paesi ricchi (una delle implicazioni della decrescita) non ne pregiudica la qualità della vita, sempre considerando che i livelli di reddito non devono scendere al di sotto di una certa soglia (quel punto in cui cala il ritorno derivato dalla soddisfazione dei bisogni).

L’ultimo passaggio che voglio mettere in rilievo e una FAQ (Frequently Asked Question, domande frequenti) si trova alla fine del Capitolo 5, “Domanda, servizi e aspetti sociali della mitigazione” (Chapter 5: Demand, services and social aspects of mitigation). Riguardo alla questione: “La riduzione della domanda è compatibile con la crescita del benessere umano?” gli autori dell’IPCC rispondono: “vi è una crescente consapevolezza che la mera crescita monetaria del reddito è insufficiente per misurare il welfare nazionale e il benessere individuale.” [Quest’ultima affermazione è solo la classica critica che viene fatta al PIL in quanto indicatore non adatto a misurare il benessere]. E prosegue: “Per cui, ogni azione per la mitigazione del cambiamento climatico si può valutare meglio se si tiene anche in considerazione l’insieme degli indicatori che rappresentano una più vasta varietà di bisogni per definire il benessere individuale, la stabilità in macroeconomia e la salute del pianeta. Molte soluzioni che implicano la riduzione della domanda di materie prime e dell’energia di origine fossile – e che quindi ridurrebbero le emissioni di gas serra – favoriscono il raggiungimento del benessere collettivo” (Cap. 5, p. 107).

Cerchiamo di decifrare quest’ultima frase. L’Allegato I: Glossario (Annex I: Glossary) descrive le misure che partono dalla domanda (demand-side measures) come “politiche e programmi per influenzare la domanda di beni e/o di servizi” che rientrano nel terreno delle misure atte a ridurre la produzione e il consumo e che sono tipicamente presenti nella letteratura sulla decrescita. Se questo è corretto, vuol dire che la decrescita (che implica una riduzione della domanda di beni e/o di servizi) non solo è efficace per ridurre le emissioni, ma anche per raggiungere il benessere collettivo.

Modellare il declino economico

La seconda menzione si può trovare nel Capitolo 3: “Percorsi di mitigazione compatibili con gli obiettivi a lungo termine” (Chapter 3: Mitigation pathways compatible with long-term goals). Mentre la discussione relativa alla decrescita, nel Capitolo 1 e nel Capitolo 5, è stata piuttosto concettuale – in quanto focalizzata sulla decrescita come una visione di prosperità che va oltre il concetto di crescita –  in questo capitolo ha delle caratteristiche più tecniche in un’ottica che viene alternativamente chiamata decrescita, declino economico o declino nei livelli di reddito. Qui si delinea un percorso specifico che deve essere simulato negli scenari di mitigazione.

Al centro della dissertazione sui “Fattori socioeconomici degli scenari sulle emissioni,” nella sezione 3.3: “Percorsi per la riduzione delle emissioni che includono le incertezze socioeconomiche, i budget di carbonio e le risposte climatiche“ (Emission pathways, including socio-economic, carbon budget and climate responses uncertainties) si può leggere che “gli scenari SSP (Shared Socioeconomic Pathways, percorsi socio-economici condivisi) hanno più opzioni. Queste vanno dalla ridotta crescita pro-capite degli scenari SSP3 e SSP4 – riguardanti in gran parte i paesi in via di sviluppo – alla crescita più rapida degli scenari SSP1 e SSP5. Al contempo, anche gli scenari al di fuori delle opzioni precedenti sono considerati plausibili, come l’opzione declino economico (Kallis et al. 2012) o sviluppo economico molto più rapido (Christensen et al. 2018) (Cap. 3, p. 24). Il termine declino economico è usato nel senso di decrescita come confermato dal riferimento a un articolo, di cui Giorgios Kallis è il principale autore, intitolato: “The economics of degrowth” (L’economia della decrescita).

Il paragrafo continua: “Un’area emergente della letteratura enfatizza la possibilità della stabilizzazione (o anche declino) dei livelli di reddito nei paesi sviluppati. Si argomenta, infatti, che una tendenza di questo tipo sarebbe preferibile, o anche necessaria, per ragioni ambientali (Anderson and Larkin, 2013; Kallis et al. 2020; Hickel and Kallis 2020; Keyßer and Lenzen 2021; Hickel et al. 2021). [In tutti questi riferimenti si usa esplicitamente il termine decrescita, come fatto in precedenza.] Tali scenari non sono però comuni nei risultati degli IIAM (Integrated Assessment Models, modelli di valutazione integrata) basati sull’idea che la decarbonizzazione possa essere associata alla crescita economica attraverso una combinazione di tecnologia, stili di vita e cambiamenti nella struttura economica. Questi, tuttavia, possono comportare una notevole riduzione nell’uso dell’energia e nel consumo delle risorse” (Cap. 3, p. 25).

Sulla stessa questione, si fa una citazione esplicita dei termine decrescita nell’Allegato III: “Scenari e metodologia di modellazione” (Annex III: Scenarios and modelling methods) all’interno di una sezione in cui si dibatte delle “scelte principali di design, e assunzioni, negli scenari di mitigazione.”  Qui si afferma che “E’ anche concepibile una più vasta gamma di narrative che descrivono mondi alternativi. Il mondo sostenibile (SSP1), per esempio, è un mondo in cui vi è una forte tasso di crescita economica. Anche altre possibilità possono essere, però, esplorate come mondi sostenibili quali quelle a ridotto tasso di crescita o, anche, quelle con elementi di decrescita nei paesi sviluppati” (Allegato III, p. 56).

Riguardo al motivo per cui nel rapporto non vengano descritti scenari di decrescita, gli autori si giustificano nella sezione del Cap.3: “Metodi di valutazione e lacune nella conoscenza e nei dati “(Methods of assessment and gaps in knowledge and data.), affermando che “gli scenari inclusi nel database degli scenari ARG (3.131 in totale) sono un insieme destrutturato. Questi, infatti, sono basati su studi che sono molto variegati e dipendono, inoltre, dalla libera scelta delle singole istituzioni di aggiungere o meno tali scenari al database. Come si nota nella Sezione 3.2 (questa sezione descrive il database in maggiore dettaglio)  questo non è rappresentativo dell’intera letteratura riguardante gli scenari in toto e neanche dell’insieme degli scenari possibili. Gli scenari che includono  gli impatti del cambiamento climatico, o la decrescita economica, per esempio, non sono rappresentati nel loro insieme semplicemente perché non sono stati aggiunti al database, tranne per qualche eccezione” (Cap. 3, p. 116).

Politiche e istituzioni per la decrescita

I passaggi del Capitolo 3 citati in precedenza riducono la decrescita a un semplice scenario che comporta livelli di reddito decrescente. Nel Capitolo 5: “Domanda, servizi e aspetti sociali della mitigazione” (Chapter 5: Demand, services and social aspects of mitigation), comunque, la discussione diventa più complessa. In una sezione intitolata: “Equità, fiducia e partecipazione nella mitigazione da parte della domanda” (Equity, trust, and participation in demand-side mitigation) vi è scritto che “la riduzione dei consumi, sia volontaria che dettata dalla politica, può avere effetti positivi e rivelarsi doppiamente vantaggiosa sia per l’efficienza, che  per la riduzione nell’uso dell’energia e dei materiali.”

Il paragrafo continua: “Modelli di dinamica dei sistemi che uniscano forti politiche di riduzione delle emissioni con altrettanto forti politiche d’equità sociale, mostrano che è possibile una transizione a minori emissioni di carbonio anche in presenza della sostenibilità sociale e, questo, anche in assenza di una crescita economica (Kallis et al. 2012; Jackson and Victor 2016; Stuart et al. 2017; [D’Alessandro et al. 2020]; Huang et al. 2019; Victor 2019; Chapman and Fraser 2019; Gabriel and Bond 2019). Questi percorsi di decrescita possono essere cruciali in quanto combinano la fattibilità della mitigazione, dal punto di vista tecnico, con gli obiettivi dello sviluppo sociale (Hickel et al. 2021; Keyßer and Lenzen 2021)” (Cap. 5, p. 32).

Un rapido sguardo ai riferimenti rivela che il tipo di decrescita a cui questi articoli si riferiscono va ben oltre una semplice diminuzione del PIL, includendo una varietà di cambiamenti istituzionali più sofisticati. Per esempio, in  D’Alessandro et al. (2020) si associa la decrescita a un reddito di base universale e alla riduzione dei tempi di lavoro, in  Stuart et al. (2017) si discute dei sistemi energetici basati sulla comunità e, infine, in Kallis et al. (2012) si menzionano una vasta gamma di proposte che vanno dai sistemi di “cap and share” (limitazione e condivisione) alle valute locali, sino a sistemi di cooperative no profit e di beni comuni.

Nella sezione riguardante “Le vaste implicazione economiche della mitigazione” (Economy-wide implications of mitigation) nel Cap. 3, gli autori discutono dell’impatto dei percorsi di mitigazione sulla crescita economica. Dopo aver spiegato che potrebbe comportare sia la riduzione della crescita del PIL, ma anche il contrario, scrivono che “numerosi studi riportano che solo un approccio volto all’arresto della crescita, alla decrescita o alla post-crescita (post-growth) del PIL possono condurre a una stabilizzazione del clima inferiore ai 2° C (Hardt and O’Neill 2017; D’Alessandro et al. 2020; Hickel and Kallis 2020; Nieto et al. 2020)” (Cap.3, p. 86). Nei riferimenti qui riportati, si ribadisce nuovamente che la decrescita è qualcosa che ha molte più sfaccettature rispetto ad una semplice contrazione del Prodotto Interno Lordo. Ad esempio, prendendo il riferimento a Hardt and O’Neill (2017), vi è una rassegna dei modelli macroeconomici dell’ecologia valutati dagli autori in base alla loro capacità di testare un numero di “temi di politica della post-crescita” quali: i limiti ambientali, i livelli di debito, il comportamenti dei consumatori, le modalità di lavoro, i modelli di business e il benessere. A questo riguardo in D’Alessandro et al. (2020) si prefigura realmente uno scenario di decrescita in Francia. Questo include una tassa sulla ricchezza, una garanzia per il lavoro, una riduzione degli orari di lavoro, una tassa sul carbonio, incentivi per l’innovazione ecologica, in aggiunta a una generale riduzione sia della produzione, che dei consumi.

La transizione alla decrescita

A questo punto ci avviamo ad affrontare la quarta e ultima dissertazione che coinvolge il termine “decrescita”. Si vuole ricordare qui che alcune idee chiave della decrescita, anche se non nominate come tali, hanno un ruolo importante in tutte le parti del rapporto – anche nel Summary for Policymakers (il sommario per i decisori politici) e nel Technical Summary (il sommario tecnico). [Questo sarà l’argomento per un altro articolo.] Per ora, è bene concentrarsi sul Capitolo 17: “Accelerare la transizione nel contesto dello sviluppo sostenibile” (Chapter 17: Accelerating the transition in the context of sustainable development).

Il primo riferimento è indiretto e si trova nel secondo paragrafo di una sezione intitolata: “Psicologia, credenze individuali e cambiamento sociale” (Psychology, Individual Beliefs and Social Change) dove il termine “acquisire una buona vita” (achieve the good life) si trova citato in riferimento a: “si veda la Sezione 1.6.2 nel Capitolo 1; Asara et al. 2015; Escobar 2015; Kallis [2019]; Latouche 2018; Capitolo 5“. La sezione 1.6.2: “Concetti e condizioni quadro per integrare la mitigazione del clima con lo sviluppo” (Concepts and frameworks for integrating climate mitigation and development) è quella a cui ho fatto riferimento  nella prima parte di questo articolo. Vi è poi il riferimento al Capitolo 5: “Domanda, servizi e aspetti sociali della mitigazione” (Demand, services and social aspects of mitigation) che è il capitolo sulle misure che riguardano la domanda di consumi.

Si ha però anche un’altra menzione più diretta alla decrescita nell’ambito della stessa sezione. Questa segue le argomentazioni riguardanti la “transizione interiore” (inner transition) definita come: “una persona che acquisisce un senso più profondo di pace e una disposizione ad aiutare gli altri, come anche il desiderio di proteggere il clima e il pianeta” (Cap. 17, p. 14). Qui si afferma, inoltre, che “sono già stati riscontrati esempi di “transizioni interiori” sia verso altri individui, che verso organizzazioni e società. Questo fatto implica in sé l’interiorizzazione di valori quali quelli della post-crescita, della decrescita o, comunque, valori non materialistici e, di conseguenza, costituisce una sfida agli stili di vita a impronta di carbonio intensiva e, con essi, ai modelli di sviluppo sottostanti (Kothari 2019; Neuteleers and Engelen 2015; Paech 2017; Sklair 2016)” (Cap. 17, p. 14).

Gli ultimi due riferimenti sono ben noti nella letteratura sulla decrescita. Sklair (2016) è una rivisitazione del saggio del 2014: “Degrowth: A Vocabulary for a New Era” (Decrescita. Un vocabolario per una nuova era) e dell’articolo tedesco Paech (2017) scritto da Niko Paech, anche autore del libro: “Liberation from excess: The road to a post-growth economy” (La liberazione dall’eccesso: la via per un’economia della post-crescita). Il titolo dell’articolo di Paech tradotto dal Tedesco è: “Da dove viene la pulsione alla crescita?”. Vi è poi anche l’articolo di Neuteleers and Engelen (2015), pubblicato in Ecological Economics, che non conoscevo in precedenza. Al suo interno si sostiene che la valutazione monetaria può indebolire la visione morale nella valutazione dell’ambiente e, di conseguenza, diminuire la protezione dello stesso. Non sono riuscito a comprendere la rilevanza data dagli autori a Kothari (2019), che è la quarta edizione di un testo dedicato alla metodologia della ricerca scientifica. Sospetto, però, che sia stata fatta confusione in bibliografia tra  C. R. Kothari – l’autore del testo sulla metodologia della ricerca in bibliografia –  e Ashish Kothari, che è un autore ben noto per la critica alla crescita economica che, in quanto tale, sarebbe stato degno di essere menzionato per il saggio del 2019 Pluriverse: A Post-Development Dictionary (Pluriverso: dizionario del post-sviluppo).

L’ultima citazione dell’intera relazione si trova in una sezione minore: “Financial systems and economic instruments” (Sistemi finanziari e strumenti economici) in cui si afferma: “Anche il movimento della decrescita – attraverso l’attenzione posta alla sostenibilità, rispetto a quello di redditività – ha la potenzialità di accelerare le trasformazioni. Nel caso gli attori sociali desiderosi di impegnarsi in tal senso fossero numerosi, questo sarebbe possibile attraverso l’uso di pratiche alternative come la promozione dello scambio di beni  e servizi non intesi in senso monetario (Chiengkul 2017)” (Cap. 17, p. 59). Qui vi è un ulteriore riferimento al saggio di Prapimphan Chiengkul intitolato: “The Political Economy of the Agri-Food System in Thailand” (La politica economica del sistema agroalimentare in Tailandia). Quest’ultima è anche autrice di un articolo del 2018 in cui le idee espresse nell’affermazione citata in precedenza sono pienamente rappresentate: The Degrowth Movement: Alternative Economic Practices and Relevance to Developing Countries (Il movimento della decrescita: pratiche economiche alternative e rilevanza per i paesi in via di sviluppo).

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L’idea della decrescita sta sperimentando un aumento di popolarità dalle dimensioni storiche. Questo è vero in particolare in ambito scientifico. Vi sono, infatti, sempre più articoli sottoposti a una valutazione inter pares sull’argomento e questi si sono moltiplicati negli ultimi anni: dai 3 del 2007, ai più di 340 dei giorni nostri. La presenza del concetto di “decrescita” nell’ultimo rapporto dell’IPCC, non è quindi una sorpresa ma un semplice riflesso della crescente importanza data a questa idea nei circoli accademici e non solo. Quello che invece ritengo personalmente rimarchevole nel rapporto dell’IPCC è la diversità dei contesti in cui il termine decrescita viene collocato. La decrescita, nelle citazioni dell’IPCC, è intesa come:

(1) una prospettiva di prosperità e di una “buona vita” (Good Life);
(2) un mondo alternativo basato sulla sostenibilità;
(3) uno scenario;
(4) un percorso cruciale per una transizione a basse emissioni di carbonio, in congiunzione con la sostenibilità sociale;
(5) unica opzione per raggiungere la stabilizzazione del clima sotto i 2°C;
(6) una sfida agli stili di vita ad elevata intensità di carbonio e ai modelli di sviluppo sottostanti;
(7) e, infine, un movimento focalizzato sulla sostenibilità, piuttosto che sulla redditività.

Coloro che avessero familiarità con la letteratura sulla decrescita  hanno ben chiaro che le definizioni precedenti sono solo la punta dell’iceberg. Altresì, è proprio grazie al prezioso lavoro degli autori dell’IPCC che l’idea di decrescita desta interesse e viene scoperta in tutto il mondo.