Questo articolo è una traduzione a cura del Gruppo Internazionale di un articolo pubblicato sul Global Ecosocialist Network (GEN)  e su Monthly Review

 

Per una decrescita ecosocialista (di Michael Löwy, Bengi Akbulut, Sabrina Fernandes, Giorgos Kallis)

Decrescita ed ecosocialismo sono due dei movimenti – e delle proposte – più interessanti nella parte radicale degli ambienti ecologisti.

Certamente non tutti nella comunità della decrescita si identificano come socialisti e non tutti gli ecosocialisti sono convinti della desiderabilità della decrescita. Ma possiamo osservare una tendenza in aumento di convergenza e di mutuo rispetto. Vogliamo qui cercare di mappare i punti principali su cui andiamo d’accordo ed elencare alcuni degli argomenti principali per una decrescita ecosocialista:

  1. Il capitalismo non può esistere senza crescita. Ha bisogno di un’espansione continua di produzione e consumo, di accumulazione di capitale, della massimizzazione dei profitti. Questo processo di crescita illimitata, basata sullo sfruttamento di fonti di energia fossili a partire dal secolo XVIII, porta alla catastrofe ecologica, cambio climatico, e minaccia l’estinzione della vita sul pianeta terra. Le 26 conferenze ONU sul clima durante gli ultimi 30 anni hanno dimostrato la totale mancanza di volontà da parte delle élite governanti di fermare la corsa verso l’abisso.
  2. Ogni vera alternativa a questa dinamica perversa e distruttiva dev’essere radicale – e cioè deve occuparsi delle radici del problema: il sistema capitalista, la sua dinamica di sfruttamento ed estrattivismo, il suo perseguire ciecamente ed ossessivamente la crescita. La decrescita ecosocialista è una tale alternativa, direttamente opposta a capitalismo e crescita. La decrescita ecosocialista richiede l’appropriazione sociale dei principali mezzi di (ri)produzione e una pianificazione [economica] democratica, partecipativa ed ecologica. Le principali decisioni sulle priorità della produzione e dei consumi vanno prese dalle stesse persone, per soddisfare i veri bisogni sociali nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta. Questo significa che le persone, alle varie scale, esercitano direttamente il potere, determinando democraticamente che cosa bisogna produrre, come, e in che quantità. Decidono inoltre come remunerare diversi tipi di attività produttive e riproduttive che sostengono noi ed il pianeta. Garantire un benessere equo per tutte non richiede crescita economica ma piuttosto di cambiare radicalmente come organizziamo l’economia e distribuiamo le “risorse” (vedi nota 1).
  3. Una decrescita significativa di produzione e consumi è ecologicamente indispensabile. La prima e più urgente misura è quella di uscire dalle fonti energetiche fossili, così come terminare con il consumo ostentativo e di estremo spreco dell’1% più ricco. Da una prospettiva ecosocialista, la decrescita va intesa in termini dialettici: molte forme di produzione (come le centrali a carbone) non dovrebbero essere solo ridotte ma eliminate del tutto; alcune come le auto private e l’allevamento di bovini, andrebbero sensibilmente ridotte; altre ancora invece avrebbero bisogno di sviluppo, come le coltivazioni agroecologiche, l’energia rinnovabile, i servizi di salute e di educazione e così via. Per settori come la salute e l’educazione, questo sviluppo dovrebbe essere, in primo luogo, qualitativo. Anche le attività più utili devono rispettare i limiti planetari; non può esserci qualcosa come la produzione “illimitata” di alcun prodotto.
  4. Il “socialismo” produttivista, come praticato nell’URSS, è un vicolo cieco. Lo stesso si applica al capitalismo “verde”, come promosso dalle imprese o “partiti verdi” mainstream. La decrescita ecosocialista è un tentativo di superare i limiti di sperimentazioni socialiste o “verdi” passate.
  5. È ben noto che il Nord globale è storicamente responsabile per la maggior parte delle emissioni di diossido di carbonio nell’atmosfera. I paesi ricchi devono perciò prendere in carico la maggior parte del processo di decrescita. Allo stesso tempo non crediamo che il Sud globale debba cercare di copiare il modello di “sviluppo” produttivista e distruttivo del Nord. Dovrebbe invece cercare un approccio diverso, dando peso alle vere necessità della popolazione in termini di cibo, casa e servizi di base, anziché estrarre sempre più materiali grezzi per il mercato globale capitalista o produrre sempre più auto per le minoranze privilegiate.
  6. La decrescita ecosocialista implica anche una trasformazione, attraverso un processo di deliberazione democratica, di modelli esistenti di consumo, come per esempio porre fine all’obsolescenza programmata e la produzione di merci irreparabili; di sistemi di trasporto, per esempio riducendo fortemente il trasporto di merci con navi e camion (rilocalizzando la produzione) e del traffico aereo. In breve, è molto di più di un cambio del modello di proprietà, è una trasformazione di civiltà, un nuovo “modo di vivere”, basato sui valori di solidarietà, democrazia, libertà, equità e rispetto per la terra. La decrescita ecosocialista sta per una nuova civiltà che rompe con produttivismo e consumismo, in favore di orari di lavoro ridotti, e dunque più tempo dedicato ad attività sociali, politiche, ricreazionali, artistiche, ludiche ed erotiche.
  7. La decrescita ecosocialista può vincere solo attraverso un’opposizione all’oligarchia fossile e alle classi governanti che controllano il potere politico ed economico. Chi è il soggetto di questa lotta? Non possiamo superare il sistema senza la partecipazione attiva della classe operaia urbana e rurale che costituisce la maggior parte della popolazione e che già sopporta la maggior parte dei mali sociali ed ecologici del capitalismo. Ma dobbiamo anche espandere la definizione di classe operaia per includere coloro che si occupano della riproduzione sociale ed ecologica, le forze che ora stanno all’avanguardia delle mobilitazioni socio-ecologiche: giovani, donne, popolazioni indigene e contadin*. Una nuova coscienza sociale ed ecologica emergerà attraverso il processo di auto-organizzazione e resistenza attiva degli sfruttati e delle oppresse.

Nota 1: in inglese “social wealth”, letteralmente “ricchezza sociale”, cioè il valore totale delle risorse di cui si necessita per soddisfare i bisogni sociali o emozionali

Michael Löwy è direttore di ricerca emerito del Centro Nazionale della Francia per la Ricerca Scientifica a Parigi ed è l’autore di Ecosocialism (Haymarket, 2015).
Bengi Akbulut è professoressa alla Concordia University di Montréal, Canada.
Sabrina Fernandes è un’organizzatrice ecosocialista, ricercatrice post-doc della Rosa Luxemburg Stiftung e produttrice di Tese Onze.
Giorgios Kallis è professore all’Istituto Catalano per la Ricerca e gli Studi Avanzati e autore di The Case for Degrowth (Polity, 2020).

Disclaimer: Le opinioni espresse negli articoli sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di altri membri della Rete Ecosocialista Globale nè dell’Associazione per la Decrescita