Di Donatella Gasparro. Traduzione dell’articolo apparso su degrowth.org a cura dell’autrice 

 

Prima ancora di diventare una sostenitrice dichiarata della decrescita e apertamente critica nei confronti della concezione lineare del progresso, ho sempre guardato con sospetto alle innovazioni tecnologiche senza freni. Non attribuisco alla mia fresca radicalizzazione quindi la mia reazione allergica ai recenti sviluppi high-tech, ma piuttosto a un’intuizione più viscerale, ancestrale forse, che spero altre persone condividano con me.

Tante sono le notizie bizzarre giunteci negli ultimi mesi dal settore  di ciò che chiamiamo comunemente “tecnologia”. L’intelligenza artificiale sta facendo molto parlare di sé, tra chatbot e le loro mirabolanti risposte che minacciano professioni di vario genere e antichissime istituzioni come gli esami scolastici, e la produzione di cosiddetta arte visiva che sta provocando l’irritazione di artisti (e non) di tutto il globo. Il mondo virtuale del metaverso sta attraendo investimenti di milioni in una corsa all’accumulo di superficie terriera virtuale, e addirittura stanno nascendo marchi di alta moda virtuale, sempre per il nuovo mondo immaginario di Meta. Notizie più terrificanti arrivano dalla polizia statunitense che, con nonchalance, ha provato ad autorizzare l’uso di robot killer per esercitare forme di controllo (iniziativa fortunatamente fermata dai cittadini).

Le mie argomentazioni  potrebbero andare in una miriade di direzioni: le opinioni di certo non mi mancano. E non mancano nemmeno alla maggior parte di voi, e ciò non sorprende. Molte persone liberamente posizionabili nello spettro della sinistra progressista contemporanea condividono forse l’impressione, chi più chi meno, che molti di questi sviluppi tecnologici siano, come dire… fondamentalmente indesiderati. Nonostante ciò, di recente, sia in conversazione con amici stretti che tramite canali di comunicazione alternativi, mi sono imbattuta ripetutamente in conclusioni della serie: “Beh, che ci piaccia o no, questa è la direzione in cui stiamo andando, e tanto succederà lo stesso.”

Non sono una sociologa della tecnologia o una filosofa della scienza – o una filosofa di qualsiasi tipo, s’è per questo. Ma ho una domanda urgente: cos’è questo abbandono totale alle innovazioni tecnologiche come fossero eventi incontrollabili di forza maggiore? Nulla di tutto ciò “succede” autonomamente. Cosa vuol dire “tanto succederà lo stesso”? Non “succede”, non è uno tsunami, né una catastrofe “naturale” (anche se, verosimilmente, una catastrofe sì). Sono le persone che lo fanno “succedere”. Cosa più importante, sono solo alcune persone, e incredibilmente poche.

Ciò che propongo è di scardinare urgentemente questi discorsi fatalisti. Propongo una resistenza cosciente contro la narrazione futuristica delle multinazionali che mina le basi della democrazia. Propongo di riappropriarci del nostro futuro collettivo, di problematizzare radicalmente i processi decisionali nel mondo della tecnologia, di rifiutare questa inevitabilità distopica. Se pensiamo che “tanto succede lo stesso”, come possiamo fingere di vivere sotto istituzioni più o meno democratiche? Se non abbiamo controllo di nessun tipo su ciò che la società produce, se non abbiamo voce in capitolo su ciò che è accettabile e ciò che davvero non lo è, come possiamo vivere in pace con lo status quo? Il minimo indispensabile è il non accettare questa direzione come l’unica possibile, quella che “tanto succederà lo stesso”. Il minimo indispensabile è rifiutare l’adozione a priori di tecnologie pericolose, inutili o insostenibili come parte scontata del nostro futuro.

È superfluo dire che investire nel metaverso sia un assurdo spreco di risorse nel bel mezzo di una crisi socio-ecologica globale, che i robot killer siano assolutamente inaccettabili e che i brand di alta moda di lusso non dovrebbero esistere nella vita reale, figuriamoci in un mondo virtuale immaginario. Capisco sia difficile andare a fermare le allucinazioni visionarie di Zuckerberg, ma considero relativamente fattibile smettere di bersele come manna calata da un’entità divina.

La mia è dunque una modesta chiamata  a tenere d’occhio il nostro linguaggio: una proposta per allenare pensieri e parole oltre il “succederà lo stesso”, un primo piccolo ma necessario passo verso il riappropriarsi dell’intero ambito tecnologico e delle decisioni che lo riguardano. Il primo passo per una lunga strada in salita verso strumenti conviviali che servano gli umani, invece di soggiogarli.

In conclusione, vi lascio qui un antidoto al metaverso (senza partnership pagate), ed una idea low-tech per tenervi al caldo, nel caso in cui, come me, siate nel freddo nord.

 

Donatella Gasparro, di origini pugliesi, è dottoranda in geografia economica presso l’Istituto di Geografia dell’Università di Münster, Germania. Laureata in Ecologia Politica e Decrescita all’Università Autonoma di Barcellona, e in Agroecologia e Sistemi Alimentari Sostenibili presso l’Università di Wageningen (Paesi Bassi), la sua ricerca mira a reimmaginare l’ “economia” partendo dalla rivalutazione di aree rurali e di economie di sussistenza, con un focus sull’Italia rurale del Sud.