Di Alex Jensen , pubblicato il 20/11/21 su Local Futures 

Traduzione a cura di Olga Abbiani del Gruppo Internazionale

 

Il sistema tecno-capitalista industriale è caratterizzato da una crescita perpetua indotta da un’eccessiva produzione, da marketing e relazioni pubbliche incessanti volti ad espandere i mercati e la domanda e dunque sollecitare maggior consumo (1). Nel processo vengono prodotti nuovi “bisogni”, e i confini e i concetti di comodità e convenienza sono continuamente rimodellati (2). In questo sistema sono relativamente poche le tecnologie socialmente necessarie, e la loro produzione e moltiplicazione sta esacerbando la distruzione ecologica e l’ingiustizia globale. Poiché è organizzato in funzione della massimizzazione del profitto, questo sistema fomenta un flusso sempre più rapido di materia-energia in entrata e di rifiuti in uscita (3). Con l’obsolescenza tecnologica pianificata vengono prodotti oggetti che hanno una breve durata vitale ma il cui impatto ambientale si rivela dannoso e quasi permanente, dato che provengono da processi industriali e uso di sostanze tossiche che non ritornano in modo sicuro nell’ambiente (ad esempio plastica, rivestimenti di prodotti tossici ad effetto “anti-macchia”, metalli pesanti).

Da una prospettiva etica e sostenibile, il sistema tecnologico regnante è fondamentalmente inadeguato. Malgrado indossi il manto della scienza razionalista e ultra-positivista, possiede tutte le caratteristiche di una gigantesca Macchina di Rube Goldberg, dove le soluzioni, per quanto di per sé possano essere brillanti, vengono applicate per fini ridicoli o apportano inutilmente maggiori complicazioni. Ogni fase in questo marchingegno di soluzioni assurde o superflue produce una nuova serie di problemi che richiedono a loro volta ulteriori (redditizie) mitigazioni tecniche, trattamenti e “esternalizzazioni” (un formalismo che indica il processo di scaricare la responsabilità ad altri). Tecnologie del genere non sono solo vignette o cartoni stravaganti, ma sono ovunque nel mondo moderno high-tech. Consideriamo solo un esempio: macchine alimentate ad elettricità attraverso un’enorme rete nascosta di miniere, centrali elettriche, linee di trasmissione e dispositivi per produrre meccanicamente aria calda e movimento allo scopo di asciugare i vestiti, quando nello stesso momento la natura fornisce gratuitamente raggi di sole e vento.

La stessa valutazione del ciclo di vita può essere continuamente applicata alla maggior parte delle tecnologie moderne (ovvero, quelle che sono meccanizzate, motorizzate, alimentate da combustibili fossili o da elettricità) e al sistema economico, capitalista e globalizzato in cui circolano. Le tecnologie sotto questo sistema, essendo merci, sono create e organizzate allo scopo di generare un valore di scambio in eccesso per avere un profitto, piuttosto che un valore di uso o di esistenza per soddisfare bisogni. Come fa notare Otto Ullrich, la vastità di questo ciclo di vita comporta una seduzione insidiosa, poiché disperde, mistifica e socializza i suoi costi reali nel tempo e nello spazio, provocando una “non-intersezione tra i vantaggi consumati privatamente e gli svantaggi sopportati collettivamente” (4). Gli svantaggi dell’alta tecnologia nella globalizzazione capitalista oggi includono lo sfruttamento e l’inquinamento su scala planetaria, costi che vengono pagati collettivamente ma che rimangono nascosti al consumatore finale. Solo attraverso questa illusione di contabilità i complicati dispositivi high-tech possono apparire “efficienti” rispetto ai più semplici strumenti manuali.

Al contrario le culture “tradizionali” (definite qui come legate alla terra, contadine) sono state caratterizzate da “tecnologie di sussistenza” che incorporano un set di valori e principi di progettazione radicalmente opposti all’alta tecnologia e che, insieme, costituiscono  un modello per la originaria tecnologia appropriata, o AT, che trova molte corrispondenze, seppur con alcune modifiche, nel movimento AT contemporaneo.

Questi principi includono, tra gli altri: valore d’uso al di sopra del valore di scambio; necessità sociale; produzione locale, manuale e a basso o nullo impatto energetico; non inquinante; durabile ma anche necessariamente bio-degradabile; democrazia e decentralizzazione; non alienazione (Vedi i “Dieci principi della AT” più in basso). In breve, la cosa più importante è seguire le intuizioni di critici sociali che includono William Morris, Gandhi, Ivan Illich, ovvero evitare interventi tecnici e innovazioni superflue dove non sono necessari, o dove la loro utilità può essere superata dai danni che possono causare, osservando rispettivamente il principio di sufficienza e il principio di precauzione. Lo chiamerei anche il principio di “a-novazione” (a-novation in originale) – l’applicazione di intelligenza e creatività al non-fare, alla non-produzione. Come insisteva William Morris, “nulla dovrebbe essere fatto dal lavoro dell’uomo che non valga la pena di esser fatto, o che debba essere fatto da un lavoro degradante” (5). In relazione a questo, nelle culture tradizionali, le relazioni sociali di cooperazione, lavoro reciproco e cura spesso sostituiscono i mezzi tecnici individualizzati e privatizzati. In Ladakh ad esempio, gli abitanti uniscono il loro lavoro per coltivare e trattare i raccolti di tutti in modo scaglionato; si impegnano nella pastorizia comune del bestiame a rotazione; e distribuiscono equamente l’acqua di irrigazione servendosi di in un ingegnoso sistema a rete di canali scavati a mano. Queste forme di lavoro cooperativo fanno fronte in gran parte alla necessità di tecnologie e facilitano la praticità delle AT locali.

I dieci principi della AT (tecnologia appropriata)

  1. Socialmente necessaria; non frivola o creata da manipolazioni di marketing (necessità artificiali); nessuna tecnologia dove non serve
  2. Basata sul luogo, su materiali naturali di provenienza locale e su conoscenza locale
  3. Fatta a mano
  4. Non inquinante (sia localmente/direttamente che a distanza/indirettamente), non tossica, sicura
  5. Uso funzionale durevole, facilmente riparabile e riciclabile a livello locale; materiali costitutivi sicuri e completamente biodegradabili
  6. Con il design più semplice e meno complicato per un uso funzionale
  7. Funzionante a bassa velocità (o nessuna velocità)
  8. Funzionante con poca energia e con uso diretto di energia passiva (vento, acqua, sole) o attiva semplice (biomassa, forza muscolare)
  9. Democratica – decentralizzata; costruita, usata, manutenuta, riparata localmente; conoscenza comune vs. proprietà privata; promuove l’uguaglianza sociale, scoraggia la gerarchia
  10. Non alienante (dal nostro lavoro, da noi stessi, dagli altri e dalla natura), non distruttore di mezzi di sussistenza

 

Due tipologie di AT

La Tecnologia Appropriata (AT) originaria, basata su accordi presi e condivisi dalla comunità, prodotta a mano tramite materiali locali e naturali che le popolazioni hanno usato per secoli soprattutto a scopo di sopravvivenza, soddisfa praticamente tutti i principi della sostenibilità più radicale.  Si può pensare, ad esempio, alle attività tradizionali, svolte collettivamente e manualmente, di raccolto e lavorazione delle colture, contro la meccanizzazione dei processi lavorativi nell’agribusiness industriale; o ancora al tradizionale mulino ad acqua ancora di uso comune nei villaggi di regioni come l’Himalaya, contro i mulini meccanici alimentati dai combustibili fossili. I mulini tradizionali sono costruiti secondo conoscenze ancestrali con pietre locali, legno e terra; la loro proprietà è gestita a livello comunitario, così come il loro utilizzo ed eventuali riparazioni; funzionano con acqua non inquinante alimentata a gravità; non inquinano e non producono rifiuti; operano a velocità e temperature relativamente basse; e così via. Oltre a queste caratteristiche – e contrariamente ai pregiudizi modernisti – gli strumenti e le tecniche tradizionali sono efficaci, pratici e riescono a reggere il confronto con le controparti e sostituti ad alta tecnologia, addirittura superandoli una volta che i costi esternalizzati dell’high-tech vengono presi in considerazione (6).

Quella che io definisco AT moderna (ovvero la tecnologia intermedia) comprende strumenti e macchine provenienti dall’economia industriale (quindi causano un po’ di inquinamento indiretto); ma per il resto condivide molte caratteristiche con le AT tradizionali, specialmente l’indipendenza economica, la democrazia politica e la coesione sociale. Sia Gandhi che Illich vedevano un ruolo per l’industria che fosse necessaria a produrre, ad esempio, biciclette e macchine da cucire manuali – ovviamente con la riserva che anche queste industrie dovrebbero essere il più possibile su piccola scala, non inquinanti, gestite democraticamente, ecc; inoltre, alcuni materiali industriali possono essere sostituiti da materiali biologici (ad esempio biciclette di bambù) e possono quindi non richiedere il lavoro di industria pesante o intensiva. La strategia economia swadeshi (autosufficienza) di Gandhi era basato sulle industrie dei villaggi; ma quello che intendeva per “industria” era molto diverso dall’accezione attuale,e accoglieva “semplici strumenti, utensili e macchinari tali da risparmiare il lavoro individuale e alleggerire la fatica di milioni di cottage (le case di campagna), che comprendevano ad esempio cooperative di tessitura manuale su piccola scala, come quelle che esistono ancora in gran parte dell’India (7).

Molte AT moderne sono state adottate con entusiasmo dalle culture tradizionali, perché tali tecnologie si innestano bene e migliorano l’economia di sussistenza, rispondendo allo stesso tempo alle nuove sfide della modernità e mantenendo qualità critiche come l’autonomia e la cooperazione, anche se alcune di esse richiedono un coinvolgimento con l’economia mercantile. Ad esempio nel Ladakh sono diffuse tecnologie moderne come cucine e scaldabagni solari, stufe a razzo, pistoni idraulici, muri di Trombe-Michel e altre tecniche di costruzione solare passiva. 

Questo punto smentisce l’errata convinzione della staticità e chiusura delle culture tradizionali; infatti, le stesse AT tradizionali sono il risultato di secoli di attento perfezionamento e innovazione (8). Tuttavia lo svantaggio principale delle AT (sia tradizionali che moderne) rispetto all’alta-tecnologia moderna sta proprio nella loro natura non mistificatoria: meno convenienza privatizzata dovuta al trasferimento dei costi. Questa mancanza di “convenienza”, intesa in modo convenzionale, e l’impegno fisico richiesto nel suo utilizzo sono le stesse caratteristiche che aveva la tecnologia tradizionale, a lungo denigrata come arretrata e usata come pretesto per l’intervento e la dominazione coloniale (9). Questa dominazione continua anche oggi, perché sia le AT tradizionali che quelle moderne vengono rapidamente sostituite da prodotti e materiali industriali, e le culture tradizionali vengono erose dall’incorporazione nell’economia globale estrattiva. Ciò è particolarmente preoccupante in un momento in cui gli esempi viventi di AT e i modi sostenibili di organizzazione sociale sono così disperatamente necessari, come fari che guidano il percorso verso il ridimensionamento della società industriale. Salvare e ripristinare questi esempi prima che scompaiano è di cruciale importanza e rappresenta una sfida importante perché, come ha osservato una volta Illich, il grande vantaggio di luoghi come il Guatemala rurale o l’India è quello di “essere ancora abbastanza potenti da fermarsi prima di un collasso energetico”, del tipo che hanno subìto le società troppo sviluppate (10).

Un ritorno a una AT più semplice, azionata manualmente, sarebbe forse impraticabile a causa dello sforzo e del lavoro richiesti? Non si tratta piuttosto di una mera romanticizzazione, le lodi che vengono fatte alle AT tradizionali? A queste comuni obiezioni basta riconoscere il fatto che la ricerca ossessiva della comodità attraverso la meccanizzazione e l’automazione sotto la bandiera del progresso tecnologico non ha prodotto benessere, ma ha contribuito invece a epidemie di malessere fisico e mentale per gli individui, per non parlare dei problemi sociali come la disoccupazione e la devastazione ecologica (11). Sono proprio le cose che stanno iniziando ad essere riconosciute come essenziali per una buona salute – il movimento e l’esercizio, la connessione tra individui e con la natura, il controllo sulle nostre vite – ad essere le stesse condizioni minate dalla dipendenza eccessiva dalle tecnologie industriali e dal paradigma tecnologico (13). 

Al contrario, il lavoro manuale che utilizza l’AT, quando svolto cooperativamente in gruppi (evitando così che il lavoro diventi oneroso per qualcuno) e in condizioni di sicurezza economica, conduce alla salute proprio per la sua relativa mancanza di “comodità”, facilitando lo sforzo corporeo e i movimenti ragionevoli e necessari, la connessione con la natura e il sollievo dalla solitudine. Queste sono le qualità che caratterizzano la AT tradizionale e in questo modo le culture “tradizionali” indicano la strada verso un futuro più sano e sostenibile, se riusciamo ad accettare il suggerimento.

Il movimento della AT moderna, collegato al movimento per la decrescita, fa proprio questo tipo di “sviluppo inverso”, ri-contadinizzazione e in-convenienza deliberata, motivato sia da obiezioni etiche ai danni socializzati dell’alta tecnologia, che da obiezioni pratiche di indipendenza e autonomia, specialmente dalle reti energetiche centralizzate e dalle oligarchie dei combustibili fossili. I vantaggi meno visibili ma più duraturi – personali, sociali, ecologici – della AT si stanno dimostrando resistenti contro l’egemonia del sistema dominante. Alcuni esempi degni di nota includono: l’Atelier Paysan (14), una cooperativa francese che lavora con contadini per progettare macchine e edifici appropriati ai bisogni specifici dell’agroecologia su piccola scala nel perseguimento della “sovranità tecnologica”; Maya Pedal (15, 16) in Guatemala, un’impresa sociale che costruisce macchine non elettriche a pedali per numerose applicazioni pratiche nelle abitazioni e in piccole fattorie; Can Decreix (17) in Francia, un centro per mettere in pratica i principi della decrescita, basato sul vivere con tecnologia bassa o nulla; e molti altri.

Oltre agli strumenti, i movimenti che lavorano per ricostruire la comunità e demercificare la vita attraverso progetti di condivisione e riparazione stanno indicando la strada verso una “AT sociale”: caffè e locali di riparazione (18, 19), biblioteche con prestito di attrezzi (20) e centri di riqualificazione (21). Anche i movimenti di opposizione politica alle pratiche aziendali di “obsolescenza programmata” e di criminalizzazione della riparazione sono elementi importanti nella più ampia transizione AT (22), così come quelli che non si concentrano su una maggiore innovazione, ma al piuttosto sulla “ex-novazione” per smantellare tecnologie dannose e sistemi tecnologici che sono incompatibili con futuri eco-socialmente giusti (23).

 

Conclusioni

Non c’è AT nelle culture tradizionali che sia indipendente dagli accordi sociali tradizionali basati sulla comunità: condivisione del lavoro e cura, aiuto reciproco e simili. Le due cose sono reciprocamente costitutive. Proprio come la sostenibilità non può essere raggiunta semplicemente aggiungendo tecnologie per l’elettricità rinnovabile ad un’economia di crescita consumistico-industriale altrimenti invariata, nemmeno l’AT da sola può avere un impatto significativo all’interno di un sistema congenitamente insostenibile. L’essenza dell’AT rimane strettamente legata alla vita comunitaria. Le sostituzioni insostenibili sono spesso introdotte sulla scia della disintegrazione della comunità, e causano a loro volta un’ulteriore disintegrazione, perché per loro natura ovviano all’elemento comunitario, privatizzano l’uso e spostano la dipendenza verso catene di fornitura industriali globali. L’AT non è quindi solo una questione di strumenti e artefatti, ma richiede condizioni sociali e politico-economiche di supporto. Affinché l’AT possa prosperare, sarà necessario trascendere la globalizzazione e il capitalismo-industriale e ritornare verso economie di sufficienza su piccola scala e più localizzate, e l’AT sarà necessaria per abilitare a sua volta tali economie.

Mentre il sistema tecno-industriale dominante spinge il pianeta oltre il precipizio della catastrofe ecologica, e approfondisce le malattie sociali di alienazione (dal nostro stesso lavoro, da noi stessi, dagli altri e dalla natura), la necessità di ridimensionare, decentralizzare e decrescere l’economia diventa sempre più evidente e urgente. L'”AT originale” delle culture tradizionali e le sue applicazioni e modifiche contemporanee offrono importanti contributi a questo urgente compito di subordinare l’economia e le sue tecnologie alla sopravvivenza sociale ed ecologica.

 

Questo articolo è stato originariamente presentato alla conferenza online De-growth or Reinventing Life: Prospects and Projects”,“, 4-6 ottobre 2021, dal M.S. Merian – R. Tagore International Centre of Advanced Studies ‘Metamorphoses of the Political’. Foto: Alex Jensen: fornello solare in uso nel Gujarat, India.

Note finali

  1. Ewen, S. (2001) Captains of Consciousness: Advertising and the Social Roots of the Consumer Culture, New York: Basic Books.; Kasser, T., & Kanner, A. D. (Eds.) (2004) Psychology and Consumer Culture: The Struggle for a Good Life in a Materialistic World, Washington DC: American Psychological Association.
  2. Illich, I. (1992) ‘Needs’, in W. Sachs (ed.) The Development Dictionary: A Guide to Knowledge as Power, London: Zed Books.; Shove, E. (2003) Comfort, Cleanliness and Convenience: The Social Organization of Normality, Oxford and New York: Berg.
  3. Steffen, W., Broadgate, W., Deutsch, L., Gaffney, O., and Ludwig, C. (2015) ‘The trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration’, The Anthropocene Review, 2(1), 81–98.
  4. Ullrich, O. (1992) ‘Technology’ in W. Sachs (ed.) The Development Dictionary: A Guide to Knowledge as Power, London: Zed Books, p. 283.
  5. Morris, W. (2012) The Collected Works of William Morris: With Introductions by His Daughter May Morris, Cambridge, UK: Cambridge University Press, p. 205.
  6. Langlands, A. (2017). Watson, J. (2019) Craeft: An inquiry into the origins and true meaning of traditional crafts. W.W. Norton & Company.; Lo-TEK: Design by Radical Indigenism, Cologne: Taschen.
  7. Gandhi, M.K. (1962) Village Swaraj, Ahmedabad: Navajivan Publishing House.
  8. Watson 2019 op cit. 
  9. Adas, M. (1989) Machines as the Measure of Men: Science, Technology and Ideologies of Western Dominance, Ithaca and London: Cornell University Press.; Adas, M. (2006) Dominance by Design: Technological Imperatives and America’s Civilizing Mission, Cambridge, MA: The Belknap Press of Harvard University Press.
  10. Illich, I. (1974) Energy and Equity, New York: Harper and Row., p. 9.
  11. Lambert, K. (2008) ‘Depressingly Easy’, Twenge, .J.M. et al. (2018) ‘Increases in Depressive Symptoms, Suicide-Related Outcomes, and Suicide Rates Among U.S. Adolescents After 2010 and Links to Increased New Media Screen Time’, Scientific American Mind, p. 31–37.; Clinical Psychological Science, 6(1), 3–17.; Vlahos, J. (2011) ‘Is Sitting a Lethal Activity?’, The New York Times Magazine, 14 April, https://www.nytimes.com/2011/04/17/magazine/mag-17sitting-t.html.
  12. Pretty, J.N. et al. (2017) ‘Green Mind Theory: How Brain-Body Behaviour Links into Natural and Social Environments for Healthy Habits’, Gardening Promotes Neuroendocrine and Affective Restoration From Stress’, International Journal of Environmental Research and Public Health, 14(7), 706–725.; Van Den Berg, A.E. and Custers, M.H.G. (2011) ‘ Journal of Health Psychology, January, 16(1), 3–11.
  13. Illich, I. (1973) Tools for Conviviality, New York: Harper and Row.; Watson 2019 op cit.
  14. https://latelierpaysan.org/
  15. Bauwens, M. (2017) ‘Julien Reynier and Fabrice Clerc from L’Atelier Paysan on self-build communities in farming’, Commons Transition, 17 March. http://commonstransition.org/julien-reynier-and-fabrice-clerc-from-latelier-paysan-on-self-build-communities-in-farming/
  16.  http://www.mayapedal.org/index.en
  17. http://www.candecreix.cat/
  18. https://repaircafe.org/en/
  19. https://remakery.org/
  20. https://localtools.org/find/
  21. https://www.transitionus.org/knowledge-hub/themes/reskilling
  22. https://www.stopobsolescence.org/; https://uspirg.org/feature/usp/right-repair
  23. Krüger, T. & Pellicer-Sifres, V. (2020) ‘From innovations to exnovations. Conflicts, (De-)Politicization processes, and power relations are key in analysing the ecological crisis’, Innovation: The European Journal of Social Science Research, 33(2), 115–123.

 

Originally published at https://www.localfutures.org on November 29, 2021