di Gloria Germani

Com’è noto, il termine  Decrescita  nasce  intorno al 2003 come slogan per  criticare radicalmente  l’idea di  crescita economica, insieme a quella dello “sviluppo sostenibile”. Non c’è dubbio che tali mantra irresistibili si sono propagati  per tutto il pianeta (con la globalizzazione) anche perché sono  legati a doppio filo all’immagine di progresso,di  evoluzione, di futuro che punta al miglioramento, ancorché di paesi sviluppati ( l’Occidente) e di paesi “in via di sviluppo”.

Fu solo negli anni ’50, infatti,   che   fu inaugurata la narrazione  dello sviluppo, per opera del presidente americano Truman (Hickel, 2017). I paesi ricchi dell’Europa e del Nordamerica erano sviluppati. Erano la punta avanzata della grande Freccia del Progresso a cui tutti  gli altri paesi dovevano tendere.

Prima di allora, viceversa, la maggior parte del pianeta  aveva conosciuto   economie della permanenza  e non della crescita.  Possiamo capire perché ciò avveniva  se accantoniamo   per un momento l’alternativa tra sviluppo/ sottosviluppo oppure quella tra  popolazioni evolute/ popolazioni primitive. Ci soffermeremo invece su una visione del mondo  – il Buddismo  – che ha permeato per  oltre 2 millenni e mezzo vaste aree del pianeta come l’India, Cylon, la Birmania, la Thailandia, il Tibet, Il Vientnam, la Corea  il Giappone e  gran parte della Cina, plasmandone  l’educazione, la letteratura, l’arte e l’architettura ed ovviamente  anche l’economia .

Al  centro del Buddismo stanno le realizzazioni ottenute dal Siddharta Gautama,  figlio di una nobile famiglia, nato intorno al  566 a.C.  nella parte nordorientale dell’India, che abbandonò il benessere e il lusso della casa paterna, per trovare la vera gioia  e la pace. Egli sapeva bene che quello che aveva raggiunto non era comunicabile a parole, ma  attraverso un’esperienza più profonda del piano logico-linguistico. Egli infatti  aveva compreso  pienamente l’essenza del  reale, ovvero “l’origine condizionata” di tutte le cose (pratitya samutpada). Ciò significa che  né le cose che consideriamo esterne,  né il nostro io, hanno un’esistenza separata, autonoma, indipendente. Ogni cosa non è permanente, non è costante, ma un aggregato di energia che prende innumerevoli forme, che passa e va. Gli aggregati (khanda) si formano e si dissolvono in continuazione, interagendo tra loro e con tutto il resto, ma non permangono mai. Per i filosofi del buddismo Mahayana l’intera sfera della fenomenalità – sia fisica che mentale, sia percepita che dedotta – è considerata priva di sostanza. 

 E’ questa ragione – ontologica  e profonda -per cui  le parole non possono avere  grande valore come noi in occidente ci ostiniamo a credere. Nonostante ciò Il Buddha, che chiamava se stesso Thatagata: ”ciò che è passato di qui” , decise di elargire ciò a cui era pervenuto facendo  quattro dichiarazioni: le cosiddette Quattro Nobili Verità.  La Prima Verità parte dalla constatazione che la condizione umana è essenzialmente caratterizzata dal dolore della morte, vecchiaia e malattia: «la vita è sofferenza, dukkha». La Seconda Verità afferma però, come uno squarcio di luce: «la causa della sofferenza è la brama, trisna». Attaccarci alle cose, desiderare questo e quello  come se le potessimo fermare è la causa fondamentale del dolore. Non solo le cose non hanno sostanza, ma soprattutto ciò a cui ci attacchiamo di più: il mio Io, il mio Ego, e dunque il mio desiderio di sopravvivenza, di possesso materiale, la brama di avere   sono  la causa prima del dolore.

A questo punto,  la Terza Nobile Verità chiarisce: «E possibile eliminare la sofferenza». La Quarta Verità  indica  con chiarezza il modo in cui è possibile eliminare la sofferenza: «La via è il Nobile ottuplice sentiero»,  cioè le otto maniere di vivere attraverso cui è possibile estinguere quello stato mentale che è la brama, il il desiderio e raggiungere la pace. 

E’  notevole che la verità della  pratitya samutpada   ha oggi trovato conferma  dalla fisica quantistica, dal famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, e trovano continue  conferme nelle scoperte recenti delle  neuroscienze, l’Entaglement,  l’ecopsicologia e la psico-immunoendocrinologia. Ma già da duemilacinquecento anni, il Buddismo  era riuscito a smontare l’idea che là fuori ci sia un mondo materiale oggettivo, materiale, da conoscere e da  conquistare da parte di un soggetto separato. Le cose nella loro fondamentale natura non possono essere nominate né spiegate , sono  al di là dell’ambito della percezione, non hanno caratteristiche distintive. L’universo viene spesso paragonato ad uno spettacolo magico, ad un lampo  o alle onde del mare. Il mare stesso, la realtà oltre e entro le onde mutevoli non può essere misurato in termini di onde.

Il buddismo soprattutto  Mahayana distrugge  alla radice il meccanismo psicologico del desiderio  su cui  si fonda  tutta l’economia moderna e il marketing.  Infatti  dobbiamo renderci conto di un fatto  importante:   per vendere dei prodotti, bisogna prima  vendere dei desideri.  E questa imposizione  dei desideri – oltretutto sempre più  superficiali e artificiali – è la struttura principale dell’economia moderna. Civiltà antiche avevano vissuto nell’abbondanza di beni e di relazioni  affettive sane  che sono la base del benessere esistenziale, senza  seguire i fuochi  fatui della  pubblicità e degli status symbol. L’imposizione  dei desideri attraverso la pubblicità,la televisione e la società dello spettacolo  rappresenta una parte importante  di quella  colonizzazione dell’immaginario attraverso cui la società industriale  finisce per predominare  su culture diverse e più connesse alla natura.

Come altre  filosofie tradizionali, ma con maggior forza,  il  buddismo invece  ci insegna  che le  attitudini mentali generate dal desiderio  e poi dal possesso e dall’acquisizione, vanno  indebolite e  superate  perché, non possono condurre alla pace e alla felicità. 

La vera pace e felicità  vanno  ricercate, al contrario, nell’allargamento dei confini dell’ego fino alla sua dissoluzione, per aprirsi ad un livello di empatia con  tutti gli esseri viventi sia  umani  che non umani.  La compassione  è l’attitudine più  giusta anche nei confronti  di un Ecosistema di cui facciamo parte  e di cui non siamo i dominatori.  

Da questo  sapere   discendono pratiche di vita ben  specifiche: “ l’Ottuplice sentiero“ovverosia   Otto maniere di vivere che sono nell’ordine: Retta Visione, Retta Intenzione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di sussistenza, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retta Meditazione. 

E’ essenziale  intendere la “Retta Visione” senza sotterfugi o smussamenti: non esistono sostanze, tutto scorre come diceva Eraclito, tutto è impermanente ed interconnesso con il resto, compresa la nostra mente.  Dunque l’Intenzione è “retta” solo se si è afferrata la visione della non permanenza e di conseguenza quando l’intenzione consiste nel non-attaccamento, nella non violenza, nel non nuocere agli altri. Parallelamente bramosia, competizione e violenza – così diffusi e perfino  caldeggiati nelle teorie economiche (mors tua, vita mea) – impediranno lo sviluppo della “Retta intenzione”. “Retta parola” inoltre consiste nell’astensione da parola falsa, da calunnia. Quindi   esiste una precisa  “Retta azione”, un  giusto modo di agire che  è il non nuocere agli altri, il non prendere ciò che non è dato, ma soprattutto  nella cosmovisione  buddista  viene caldeggiata l’astensione dal possesso bramoso. 

Ma ciò che per noi oggi è più interessante è il  Quinto Sentiero. Esso insegna quali sono i “Retti mezzi di sussistenza”, cioè che esiste una giusta maniera per guadagnare e assicurarsi un certo  benessere economico. Innanzitutto ci viene insegnato che vanno evitati tutti i mezzi che possono implicare danno o sofferenza negli altri. Tra questi sono esplicitamente condannati dal Buddha: 1. Il commercio di armi; 2. Commercio di esseri umani e di prostitute; 3. Commercio di animali da uccidere; 4. Commercio di veleni, alcol, droghe e sostanze intossicanti. Molti stati orientali  non permettevano il commercio di alcolici e lo Stato Buddista del Bhutan, nel 2005, ha messo al bando la vendita del tabacco.  Vietare il commercio di animali da uccidere avrebbe effetti enormi sull’industria della carne  oggi largamente incoraggiata  e promossa in ogni parte del globo. Vietare  inoltre la fabbricazione di  armi  avrebbe  conseguenze immense sul piano pratico e in questa ottica  pensiamo all’atteggiamento avuto dal Dalai Lama, capo politico  del Tibet –  all’indomani dell’occupazione militare del Tibet avvenuta nel 1950 da parte della Cina. L’economista F.E. Schumacher che aveva studiato a lungo queste norme  buddiste  soggiornando in Birmania, rese famosa l’espressione “economia buddista” attraverso lo slogan e il libro Piccolo è bello. Per essa, attività che implicano un grande spreco di risorse non sarebbero ammesse perché questa è una forma di violenza verso la natura e quindi – per “Retta visione” – anche verso noi stessi. Da  questa prospettiva, l’industria della moda occidentale che impone vestiti nuovi ogni sei mesi – per fare un esempio –  con enorme spreco di  materie  prime, sarebbe completamente condannata; altrettanto lo sarebbero  i commerci  globali, la delocalizzazione delle imprese oppure   l’industria dei  trasporti  (Schumacher, 1973; Illich 1974).

Secondo l’Ottuplice sentiero, solo dopo aver praticato “Retta parola”, “Retta azione” e “Retti mezzi di sussistenza” che costituiscono la via Etica, l’uomo può giungere all’educazione mentale vera e propria. Solo così  si può giungere finalmente all’ultimo e ottavo sentiero: la “Retta unione”, uno stato di beatitudine e di pace che è il vero scopo della vita, fatto di  assorbimento, concentrazione e immersione totale in quella dimensione di non  mente, al di là delle parole.”  Non può essere chiamato né vuoto, né non vuoto, né entrambi, né nessuno dei due, ma per indicarlo lo chiamiamo il Vuoto”- scrive Nagarjuna. Ed è  interessante che un famoso fisico contemporaneo, Carlo Rovelli, citi spesso questo filosofo buddista nato circa 18 secoli fa, per cercare di descrivere la “non dicibile” realtà quantistica.

E si badi bene, le ricerche  più avanzate  ci stanno dicendo  che non esistono due mondi: il nostro mondo della realtà quotidiana accanto a quello dei quanti: ma esiste un solo mondo ed è quello quantistico. I BIT classici sono solo dei BIT quantistici collassati (Silvestrini 2021)  Questo significa che 1.la realtà ultima non è misurabile ed è collegata senza relazione di causa-effetto;2 la realtà non è separabile; 3.la misura locale non definisce  completamente la realtà; 4. La fisica classica non permette di conoscere la realtà. In base a queste scoperte, il metodo scientifico andrebbe  completamente rivoluzionato: il concetto di misura e di calcolo andrebbe rivisto  anche nelle sue implicazioni  sul denaro – che viceversa è il grande dio dei nostri tempi. Stessa cosa sul versante dell’io, oggetto oggi di una venerazione acritica e esagerata. Testi classici buddisti all’opposto  ribadiscono: “Tutte le calamità, tutti i dolori, tutti i pericoli  derivano da una cosa soltanto, cioè all’attaccamento all’ego”( Guida  al sentiero buddista del risveglio,2,134). 

Il problema della crescita,  il problema della dittatura dell’economia su tutti gli aspetti della vita, non si risolve andando a convincere i presunti  “cattivi”,  ma  cambiando paradigma, ribaltando la visione della realtà, di ciò che è, di ciò che  è vero. Solo in questa maniera l’economia potrà ritornare al suo posto, dietro l’etica (Terzani 2002)  e le ragioni ecologiche discenderanno semplicemente dall’ontologia, invertendo quella strada sbagliata che ci sta portando  a distruggere il mondo e noi stessi ( Porciello, Filosofia dell’Ambiente, 2022).  

Ancor oggi,  pertanto,  è molto  importante  ispirarsi all’immagine buddista dei tre veleni che stanno al centro della Ruota dell’Esistenza (bhavacacka) e che sono rappresentati  in infinite immagini pittoriche in  Tibet, Giappone, Cina Corea  e generalmente nel Sudest asiatico. Sono  rappresentati come  un gallo, un serpente e un cinghiale. Ciascuno morde la coda dell’altro perché essi sono, di fatto,  indisgiungibili. Il gallo  rappresenta la brama, il desiderio, il  serpente esprime l’avversione, l’odio. Essi  sono sempre uniti al cinghiale che simboleggia l’ignoranza, ovvero – come abbiamo visto sopra  – la dimenticanza e la negazione  dell’ impermanenza  e la transitorietà profonda di tutte le cose nel mondo, compreso ovviamente ciò  a cui siamo più attaccati:  il nostro io e la nostra sopravvivenza.