Pubblichiamo la sintesi, realizzata dal  nostro socio Giovanni Maniscalco, del seguente articolo di Jason Hickel: “How to pay for saving the world: Modern Monetary Theory for a degrowth transition” disponibile su Science Direct. Specifichiamo anche che le teorie sulla transizione in ambito decrescente sono varie e che  quella indicata nell’articolo non rispecchia le posizioni dell’associazione, ma può essere utile per iniziare un dibattito”.

La nostra immaginazione politica è tuttora limitata da due miti: 1) la nozione che una crescita perpetua sia  condizione necessaria per far funzionare l’economia e 2) la nozione che i governi democratici siano limitati finanziariamente nel perseguimento degli obiettivi sociali ed ecologici. Quest’ultimo mito dei limiti finanziari significa che i governi ritengono la crescita l’unica opzione per finanziare i loro obiettivi.

Questo è un problema, perché la crescita rende più difficile la riduzione delle emissioni. In questi termini, secondo l’attuale modello di pensiero improntato sulla crescita, la sopravvivenza della vita sulla Terra può solo essere immaginata come una incerta scommessa su una evoluzione tecnologica nell’ambito del capitalismo, evoluzione la cui fattibilità non è supportata al momento dalla letteratura empirica esistente.

Gli studiosi della decrescita smitizzano il fatto che una continua crescita economica nei paesi ad alto reddito sia necessaria per il miglioramento dei risultati sociali, e sottolineano che questi miglioramenti possono invece essere ottenuti attraverso una produzione aggregata minore ed un uso ridotto di risorse ed energia.

Un principio fondamentale della decrescita è che espandendo i servizi pubblici, accorciando la settimana lavorativa, introducendo una garanzia pubblica sul posto di lavoro e riducendo le disuguaglianze si possa “disaccoppiare” il benessere dalla crescita e ridurre le produzioni meno necessarie senza conseguenze sociali negative.

La letteratura della decrescita attribuisce allo Stato un ruolo chiave nella transizione. Nondimeno, le critiche spesso sostengono che la decrescita non sia compatibile con una finanza pubblica “sostenibile”; in realtà molte questioni non sono state affrontate sufficientemente, ad esempio, le seguenti: qual è l’approccio adeguato alla politica fiscale e monetaria in una prospettiva di decrescita? Come assicurare una stabilità macroeconomica in presenza di una riduzione sia della produzione che della domanda aggregata? In questo scenario, come potranno essere pagati i servizi pubblici universali, la produzione delle energie rinnovabili e le misure di ripristino degli ecosistemi? Come può essere governato il sistema monetario per facilitare una radicale transizione socio-ecologica dal capitalismo?

La maggioranza degli economisti ecologici non offrono analisi adeguate del sistema finanziario e monetario attuale; lo stesso IPCC non si discosta dal punto di vista maggioritario sulla finanza pubblica e nella letteratura modellistica non ci sono normalmente scenari di una transizione decrescente.

In questo articolo attingiamo alla MMT (Teoria Monetaria Moderna) per affrontare queste domande, ritenendo che può essere vista come uno strumento valido per una transizione decrescente, e delineiamo qui un programma di politica fiscale e monetaria ispirato alla MMT per una questa transizione.

Nel capitalismo i beni essenziali (abitazioni, sanità, trasporti, cibi nutrienti, etc) sono mercificati e la loro disponibilità è mediata dai prezzi, che spesso sono molto alti. Per ottenere il reddito necessario, la gente è obbligata ad entrare nel mercato del lavoro capitalistico, lavorando per produrre cose non sempre necessarie, semplicemente per accedere a cose chiaramente necessarie. La scarsità artificiale dei beni essenziali quindi assicura un flusso costante di lavoro per la crescita capitalistica. Essa crea inoltre la dipendenza dalla crescita per cui se l’aumento della produttività (o una recessione) porta ad un aumento della disoccupazione, la gente subisce una diminuzione dell’accesso ai beni essenziali e diventa necessaria un’ulteriore crescita per creare nuovi posti di lavoro e risolvere la crisi sociale. Questa dinamica spiega perché, nonostante l’alto livello di produzione e dell’uso di risorse, molti bisogni fondamentali rimangano insoddisfatti perfino nei paesi ad alto reddito. Sotto quest’aspetto il capitalismo è profondamente inefficiente e caratterizzato da sprechi di risorse.

La MMT sostiene che in generale, uno stato con sovranità monetaria e senza debiti internazionali crea la moneta attraverso la sua banca centrale e pertanto non ha limiti per la sua spesa pubblica e non ha bisogno di ripagare il debito pubblico, come dimostra il caso del Giappone. Oggi, invece, il potere della banca centrale è stato nondimeno largamente trasferito alle banche commerciali e gli investimenti sono dominati dai grandi attori finanziari, relegando alle banche centrali il solo compito di stabilizzare i prezzi ed assicurare un processo di accumulazione senza intoppi.

Come si vede, il sistema monetario non è un dato immodificabile ma  una costruzione politica e giuridica. Esso ha operato differentemente in passato e opererà differentemente in futuro.

Esistono dei limiti reali, che non sono artefatti politici come l’inflazione. L’inflazione rappresenta un conflitto sociale sulla distribuzione di beni e risorse, mediata dal sistema dei prezzi. I conflitti distribuzionali tipicamente diventano inflattivi quando la produzione aggregata non sta al passo con una domanda aumentata (per esempio,come dimostra l’esperienza della pandemia, l’inflazione può essere causata dalle strettoie delle catene di rifornimento, o dai produttori che utilizzano un aumento transitorio dei prezzi per aumentare significativamente i loro profitti.)

Una sfida per la transizione decrescente consiste nel fatto che un aumento della spesa pubblica implica, ceteris paribus, un’espansione della domanda aggregata. Ogni aumento di domanda aggregata che causa un’espansione della produzione aggregata equivale ad una crescita economica. Nondimeno, se l’aumento della domanda avviene in condizioni di produzione inadeguata dovute a limitazioni imposte dalla capacità produttiva, può comparire inflazione.

Gli studiosi della decrescita affermano che i paesi ad alto reddito hanno bisogno di ridurre la produzione aggregata per riportare l’uso delle risorse a livelli sostenibili. Questo può essere raggiunto allungando la durata dei prodotti e riducendo la produzione come anche la capacità produttiva di industrie distruttive, ecologicamente e socialmente non necessarie (che producono, ad esempio, SUV, jet privati, moda “usa e getta”, carne bovina, armi, etc).

Per condurre una transizione in maniera da non indurre inflazione, la domanda di energia e materie prime deve essere ridotta almeno alla stessa velocità della sua produzione. Attualmente, la gestione dei livelli di occupazione e della domanda aggregata ricade ampiamente sulle banche centrali, le quali operano attraverso i mercati finanziari e si affidano a strumenti spuntati (principalmente tassi d’interesse e acquisto/vendita di asset) per ottemperare a questi compiti, con effetti sociali sub-ottimali. Un risultato migliore si può ottenere da una regolazione qualitativa nell’erogazione del credito che può focalizzarsi su settori (per es., rigide limitazioni per il fossile) o su attività (limitazione del credito per fusioni e acquisizioni). 

Disincentivare il dannoso e contestualmente incentivare il buono è uno strumento potente per regolare la domanda di fronte a potenziali pressioni inflattive. Una regolazione diretta quantitativa è un tetto efficace al credito nella creazione di moneta da parte delle banche che – a complemento di una regolazione qualitativa e un programma di garanzia sul posto di lavoro – può servire ad assicurare un livello di domanda coerente con una stabilità dei prezzi. Il settore bancario commerciale e la creazione endogena di moneta non sono antitetici ad una transizione decrescente, se sono inseriti in questo quadro. Oltre alle banche, se si vuole effettivamente limitare il potere finanziario, diventa cruciale estendere la regolazione del credito anche al settore finanziario non bancario (banche ombra). Oltre alle istituzioni che creano credito, ci sono raccoglitori di liquidità istituzionali (come assicurazioni e fondi pensione) che giocano un ruolo centrale nella crescita del sistema finanziario e a cui le banche centrali hanno assicurato espansione attraverso le politiche di quantitative easing. Occorre de-finanziarli, ma serve un lavoro più concreto sulle politiche per supportare tali processi.

Politiche di decrescita che riducono il consumo privato richiedono che prioritariamente si costruiscano sistemi universali pubblici di approvvigionamento effettivo: si parla di abitazioni, trasporti, cibo. A breve termine, l’abbondanza di servizi pubblici può aumentare la domanda perché lascia eccessivi margini alle famiglie. Nel lungo periodo, la costruzione dei sistemi di approvvigionamento pubblico può “affollare” gli investimenti privati e i consumi. L’eccesso di domanda al di là del necessario è una conseguenza della scarsità artificiale, condizionata da una mancanza di soddisfazione dei bisogni pubblici. Nel momento in cui la gente si affiderà meno all’economia monetaria nella sua vita quotidiana, potrà ridurre il tempo dedicato al lavoro salariato. La soddisfazione dei bisogni fuori dall’economia di mercato, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro, potrà diventare uno stimolo-chiave nel ridurre efficacemente la domanda.

Ci siamo occupati dei paesi ad alto reddito. Politiche simili non sono necessariamente inadeguate per i paesi periferici, una volta che essi hanno raggiunto una sovranità monetaria; dal momento che i paesi del nord globale confidano così fortemente su lavoro e risorse importate a basso prezzo, costruire una sovranità economica nei paesi periferici potrebbe essere un detonatore essenziale  per la decrescita nei paesi centrali.

Una questione aperta rimane come può coesistere armonicamente una spesa pubblica centralizzata con processi decisionali locali.