NUOVE PROSPETTIVE NEL FINANZIAMENTO DELLE ECONOMIE PUBBLICHE, SOLIDALI ED ORIENTATE ALLA CURA.

Il livello insostenibile raggiunto dal debito pubblico italiano e l’esigenza di non tagliare ulteriormente i fondi necessari per prendersi cura dei beni e delle condizioni comuni di vita, ci impongono di trovare nuove forme di finanziamento, più sostenibili di quelle esistenti: sia per le economie pubbliche e solidali sia per tutte le attività che possono orientarsi alla cura dei territori, delle persone, dei patrimoni culturali e delle relazioni sociali.

1] CRISI DELLE ECONOMIE PUBBLICHE E DELLA MERCATIZZAZIONE DEL LORO FINANZIAMENTO

Si devono trovare nuove forme di finanziamento, senza rendite e interessi monetari, in primo luogo perché il pagamento di interessi e rendite sul denaro è una delle cause principali del livello enorme del debito accumulato dalle economie pubbliche dei paesi sviluppati, ed in particolare da quella italiana (sul rapporto tra debito pubblico italiano e interessi pagati ai mercati finanziari vedi Baranes 2010, Gesualdi 2013). Ma nuove forme di finanziamento si rendono necessarie anche perché gli obiettivi e i vincoli accrescitivi, propri dei sistemi finanziari orientati capitalisticamente, contrastano con le forti difficoltà incontrate nei tentativi di far capo ad una crescita produttiva continua e sistematica da parte delle economie pubbliche e solidali, e soprattutto contrastano con le finalità e i principi del prendersi cura che dovrebbero orientarle.

Le esigenze di crescita monetaria incessante proprie dei sistemi di finanziamento di tipo capitalistico portano ad inasprire lo sfruttamento di ogni risorsa disponibile, specie là dove non risulta possibile ottenere una crescita produttiva continua attraverso l’innovazione tecnologica e la meccanizzazione del lavoro. Inoltre il pagamento di profitti e rendite sul denaro impiegato implica inevitabilmente un aumento significativo dei prezzi di tutti quei beni e servizi che non possono essere prodotti ed erogati secondo le logiche delle economie di scala e di intensificazione dei tempi produttivi, come avviene per una gran parte delle attività e dei servizi pubblici (un’analisi approfondita di questi aspetti si può trovare in Ruzzene 2005, 2008 (allegato A1) e 2015).

Gran parte delle attività che si sviluppano nei settori pubblici, così come nelle economie ispirate da principi etici ed ecologici, si devono misurare infine con esigenze di cura che rispondono a tempi (e vincoli) in larga parte naturali, generalmente non intensificabili e standardizzabili. E per restare fedeli ai loro principi le economie pubbliche solidali ed ecologiche devono rispondere a bisogni delle persone e a criteri di salvaguardia dei patrimoni naturali e culturali che non possono risultare compatibili né con le spinte all’intensificazione dello sfruttamento di ogni risorsa disponibile, imposte dalla competizione mercatistica globale, né tantomeno con le richieste sempre più pressanti di crescita economico monetaria, incessante e dissipativa, che ne stanno alla base.

2] CONFIGURAZIONE SPECIALISTICA DELLE ATTIVITÀ DI CURA E CRESCITA DEL DEBITO PUBBLICO ED ECOLOGICO

È importante tener presente che perseguendo la massimizzazione delle prospettive di crescita economico monetaria si è finito per estromettere da ogni sistema produttivo e sociale orientato capitalisticamente tutti quei principi e quei valori relativi al “prendersi cura”, che risultavano incarnati nella maggior parte delle attività produttive e nelle culture tradizionali (come è stato rilevato secondo prospettive e in tempi diversi da K. Polany, H. Marcuse, I. Ilich e M. Sahlins).
Ciò ha portato ad ampliare in misura considerevole le implicazioni negative dell’agire economico di tipo industriale, alimentando i maggiori fenomeni di degrado ambientale – degli ambienti naturali e sociali – e la tendenziale dissipazione di una gran parte delle risorse disponibili. Ma si è finito anche per rendere necessaria tutta una serie di attività di riparazione dei guasti ambientali, di recupero del degrado omnipervasivo e di cura dei disagi individuali, che sono andate crescendo in peso e valore economico all’interno di tutti i sistemi capitalistici sviluppati.

Si tratta di attività che potremmo definire genericamente “di cura” e che sono venute sviluppandosi come sfere d’azione particolari, specialistiche, esterne o separate rispetto alle organizzazioni produttive di tipo capitalistico. In genere sono state assunte in gestione dagli stati nazionali, confluendo nell’ampio raggio degli interventi pubblici, per numerosi ordini di ragioni, facendo sorgere a loro volta tutta una serie di nuovi problemi e di difficoltà economiche (per un approfondimento di questi aspetti si può vedere “Beyond Growth: problematic relationship between the financial crisis, care and public economies, and alternative currencies”, in International Journal of Community Currency Research).

Lo sviluppo “specialistico” delle funzioni pubbliche di cura e recupero dei danni socio ambientali generati dai modi di produzione capitalistici ha presentato indubbiamente dei vantaggi in termini di capacità e potenza d’intervento, almeno inizialmente, ma presenta anche numerosi aspetti problematici.
Intervenire a posteriori riparando danni già provocati risulta in genere più costoso che prevenirli, specialmente nel lungo periodo, e questo vale sia da un punto di vista economico sia dal punto di vista dell’esistenza dei singoli individui. In aggiunta, dopo alcuni decenni di crescita della spesa alimentata dalla necessità di riparare le disfunzioni e i danni provocati dallo sviluppo capitalistico industriale, oltre che dalla esigenza di mantenere in vita i suoi modelli di consumo massificati, gli stati nazionali non possono contare più sulle risorse che si renderebbero necessarie, e devono ottenerle a prestito da mercati speculativi che impongono tassi di interesse molto elevati, per altro sulla base di condizioni di rischio spesso create o comunque amplificate dagli stessi sistemi finanziari (su questo aspetto importante vedi Aglietta, 2008 e Gallino 2011).

Tassi di interesse elevati portano ad un aumento significativo dei prezzi dei beni e servizi, come rilevato chiaramente da M. Kennedy nel suo “Denaro senza inflazione e senza interessi” (Kennedy 97). Ciò vale in particolare per i servizi pubblici, costringendo a rilanciare la redditività economica e lo sfruttamento di ogni risorsa che si presti allo scopo, con il conseguente aumento del degrado ambientale e relazionale e dei costi da sostenere per la sua cura. Si tratta in sostanza di dinamiche viziose che portano come risultato finale, ormai del tutto evidente, non solo ad ampliare i fenomeni di indebitamento pubblico ma anche le molte manifestazioni del “debito ecologico”, che le generazioni impegnate nei processi di crescita di tipo capitalistico e in pratiche di consumo indiscriminate si assumono specialmente rispetto alle generazioni future (per approfondimenti su quest’ultimo aspetto si può vedere Perna 2013, Rossi e Ortega 2002).

3] RITORNO AL PRENDERSI CURA

È la stessa configurazione specialistica delle attività dedicate alla cura che prelude quasi inevitabilmente allo sviluppo di una loro mercatizzazione, mentre le difficoltà incontrate dai processi di crescita economica capitalistica, specie nelle società ad elevata terziarizzazione, impongono oneri crescenti ed insostenibili in termini di redditività economica e finanziaria.
Infine, dato che i compiti della cura e del ripristino dei contesti ambientali sono assunti da agenti “esterni specializzati” e risultano in genere imposti o calati dall’alto, vengono riproducendosi atteggiamenti diffusi di de- responsabilizzazione dei singoli individui e delle organizzazioni produttive: non solo riguardo alle ricadute ambientali del loro agire, ma anche riguardo ai costi economici sostenuti dalle economie pubbliche nelle attività di cura e recupero del degrado ambientale, così come riguardo ai più ampi fenomeni di esaurimento delle risorse naturali.

Tutto questo ci indica in sostanza l’esigenza di superare ogni concezione specialistica della “cura”, o meglio di ritradurre il concetto di cura in quello del “prendersi cura”, facendo sì che i valori e i principi del prendersi cura vengano recuperati e fatti propri, in maniera preventiva, da ogni sistema d’azione e da ogni individuo. E va rilevato che simili principi non dovrebbero farsi valere solo nella cura delle persone, del lavoro e dei patrimoni naturali e culturali, ma dovrebbero farsi valere anche, o prima di tutto, nel prendersi cura delle implicazioni complessive, sistemiche ed esistenziali, delle attività di ognuno, sia produttive e di servizio che di consumo o svago.

Il recupero dei principi del prendersi cura (da parte di ogni individuo ed impresa responsabile, sensibile rispetto ai destini delle condizioni comuni di vita), dovrebbe riguardare infine gli stessi sistemi di finanziamento e monetari, specie quelli impiegati nella gestione della cura e della conservazione dei patrimoni ambientali e dei beni comuni, ma non solo.
Dato l’intreccio molto stretto oggi esistente tra le attività finanziarie (di tipo prevalentemente speculativo) e i sistemi monetari nel loro insieme, anche la costituzione e la gestione delle strumentazioni monetarie, delle loro regole e vincoli di funzionamento, non dovrebbe più essere lasciata nelle mani dei cosiddetti esperti, specie quando questi risultano portatori di marcati interessi particolaristici o settoriali, come risulta per gli agenti finanziari e politici nelle società attuali (si veda al proposito Gallino 2011).
Questo anche perché il mancato controllo delle istituzioni finanziarie e monetarie sta portando alla proliferazione di numerose forme di corruzione, di cattiva gestione economica e di intrusioni lobbistiche che finiscono per riguardare la gestione non solo dei risparmi delle famiglie ma anche dei sistemi previdenziali e pensionistici.

4] SVILUPPI DELLE ECONOMIE SOLIDALI ED ECOLOGICHE

Già da tempo diversi soggetti, singoli individui, imprese e gruppi sociali, si sono resi consapevoli di queste esigenze e stanno cercando di sviluppare diversi tipi di economie (ed anche di sistemi monetari) più sostenibili, guidate da intenti etici, solidaristici ed ecologici che possono rientrare tutti nel concetto generico del prendersi cura.
In genere però le attività e le imprese guidate dai principi e dai tempi del prendersi cura non possono sostenere la competitività delle attività produttive regolate dai principi e dai tempi della profittabilità capitalistica. Queste ultime possono infatti sviluppare nell’immediato capacità di crescita produttiva significativamente più elevate, principalmente perché possono impegnarsi nello sfruttamento intensivo di ogni risorsa impiegata, senza una seria considerazione dei costi ambientali ed esistenziali veicolati, specie nel lungo periodo, scaricati comunque sulla collettività e sulle generazioni future.
Va aggiunto che i contesti socio culturali in cui si trovano ad agire le nuove imprese orientate in diversi modi al “prendersi cura” non sono tra i più favorevoli per lo sviluppo di approcci sistemici, di lungo periodo e complessivi.

Spinte individualistiche diffuse, associate alla crisi delle prospettive collettive (ed in particolare delle dimensioni statuali) portano spesso molti agenti delle nuove economie ispirate dai principi del prendersi cura a rinchiudersi in posizioni “pragmatiche” e di “nicchia”, con scarse possibilità di influire sui contesti economico sociali ed istituzionali complessivi, egemonizzati dal capitale finanziario e dalla ricerca della massima redditività nell’investimento delle risorse disponibili.
Per far fronte a questo insieme di fattori sfavorevoli le attività orientate dai principi del prendersi cura dovrebbero essere sostenute e supportate dalla collettività, in primo luogo attraverso lo sviluppo di forme di finanziamento sostenibili, tali da non comportare un aumento dei costi di vita complessivi o e una dipendenza sostanziale rispetto ai processi di crescita economica capitalistica.
Si dovrebbero garantire anche condizioni di domanda o di mercato sufficienti e abbastanza stabili nel lungo periodo, un sostegno organizzativo adeguato in termini di programmazione complessiva, e quadri legislativi più favorevoli, tali da consentire un riequilibrio tra le necessità generali, i bisogni individuali e le risorse complessivamente disponibili nei diversi ambiti territoriali.

Si tratta evidentemente di una prospettiva di intervento molto complessa che richiede lo sviluppo di un ampio progetto di programmazione e di cambiamento socio culturale e istituzionale, ma anche la messa a punto di adeguate strumentazioni sul piano fiscale e monetario. Ed è soprattutto su tali questioni che si deve soffermare l’attenzione, anche perché si tratta di aspetti non ancora indagati adeguatamente dalla cultura critica ed ecologica, in particolare per quanto riguarda le economie pubbliche.

5] FISCALITÀ ECOLOGICHE E SISTEMI DI SCAMBIO E DI CREDITO SENZA DENARO

I testi allegati a questa presentazione introduttiva considerano in termini molto generali le due principali forme di finanziamento alternativo, sviluppabili per sostenere sia le economie pubbliche sia le attività ed imprese private ispirate dai principi del prendersi cura.
Si tratta in primo luogo del finanziamento derivante da forme di fiscalità verde o ecologica, ottenibile sulla base dello spostamento dei maggiori carichi fiscali dalla tassazione sul lavoro alla tassazione sull’appropriazione, sull’uso e sul consumo delle risorse ambientali (specie quelle non riproducibili o più scarse).
E si tratta in secondo luogo dello sviluppo di sistemi di finanziamento e di scambio “senza denaro” o non monetari in senso proprio (se si considera il denaro e la moneta come espressione di un potere di disposizione economico impersonale e astratto). Per non andare contro ad un uso molto diffuso continueremo a parlare di “sistemi monetari alternativi”, accettando il principio altrettanto diffuso che deve trattarsi comunque di sistemi di scambio e di credito senza rendite ed interessi di tipo monetario.

Un ampio lavoro di ridefinizione dello stesso concetto di moneta si renderà comunque necessario e si può anticipare che si dovrà ripartire, come ha fatto a suo tempo Marx, proprio dall’analisi delle diverse forme di potere e dominio sociale che stanno alla base del denaro e dei diversi tipi di monete che ne esprimono il valore, o che se ne vogliono distaccare, come avviene in genere per le monete alternative.

Riguardo alla questione di una nuova fiscalità ecologica l’attenzione verrà focalizzandosi soprattutto su una importante modifica nelle relazioni che si possono instaurare tra fisco e contribuenti. Nelle condizioni attuali infatti i contribuenti si trovano nella posizione di chi deve concedere alla collettività una parte significativa del loro reddito, principalmente per avere in cambio un non ben precisabile ritorno in termini di maggior equità sociale (scarsamente rilevabile quando a pagare le tasse sono principalmente i redditi da lavoro medi e bassi, come avviene in Italia). Se adeguatamente costituito, un sistema di tassazione maggiormente basato sull’appropriazione e sull’uso a fini produttivi delle risorse disponibili tende invece a mettere il singolo contribuente in una posizione di dipendenza rispetto alla stessa comunità, che può (o non può) concedere un diritto d’uso o appropriazione riguardo a risorse che non sono più considerabili come ricchezze private ma appunto come beni comuni (su questi aspetti si può vedere Ruzzene 2008 inserito nell’allegato A1). E tra i beni comuni dovrebbero essere compresi prima di tutto i territori e gli spazi edificabili, che non dovrebbero mai essere alienabili privatamente in via definitiva.

Per risultare efficaci e sostenibili nel lungo periodo le tasse ecologiche dovrebbero però rispondere a criteri ecologici molto più rigorosi e coerenti di quelli solitamente adottati. E bisogna tener presente che anche nell’ambito di una fiscalità ecologica si tende a riprodurre una condizione di dipendenza della comunità rispetto alla ricchezza monetaria prodotta principalmente dalle economie capitalistiche, generalmente in termini dissipativi.
Condizioni più favorevoli per lo sviluppo delle economie pubbliche e di cura, tali da ridurre nello stesso tempo l’importanza delle economie dissipative, si possono ottenere principalmente sviluppando attività e forme di scambio, di credito, di misura e di calcolo economico non monetari o pseudo monetari, molto diversi da quelli esistenti in quanto dipendenti non dai meccanismi impersonali che caratterizzano i sistemi monetari ufficiali ma dalle attività e dai bisogni concreti degli individui e delle comunità che ne determinano in maniera cooperativa la costituzione e le regole di funzionamento e sviluppo, come può avvenire nei sistemi di credito in tempo di lavoro.

Infine, per risultare realmente sostenibili sia sul piano economico sia su quello ambientale, i sistemi di scambio e di credito alternativi non dovrebbero solo farsi ispirare dai principi del “prendersi cura” ma dovrebbero anche rispondere alle esigenze di risparmio dei costi di funzionamento delle organizzazioni sociali e di riduzione delle risorse necessarie, impiegate e consumate, specie quelle naturali non riproducibili.
Da questo punto di vista risulta cruciale definire adeguatamente la questione delle basi o delle condizioni che portano a definire i valori e i costi economici, così come le forme di una ricchezza sociale sostenibile: un aspetto che generalmente è poco considerato ma dovrebbe costituire il punto di partenza nell’analisi della validità o sostenibilità degli stessi sistemi monetari, di scambio e di credito alternativi (per una ricostruzione introduttiva degli approcci alternativi al ripensamento della ricchezza sociale si può vedere Bresso 1993, Viveret 2005).

6] MONETE ALTERNATIVE E PROBLEMI CONSEGUENTI DALLE BASI DEL LORO VALORE

A partire dalla considerazione di come vengono determinati i loro valori economici si possono individuare tre tipi principali di “monete” o meglio di sistemi di scambio e credito alternativi:

a) i sistemi monetari o pseudo monetari che non sono in grado di riferirsi ad una base di valore solida e stabile, e che devono rinviare alle monete ufficiali per conferire un qualche valore al proprio titolo monetario (se fanno capo ad una moneta in senso stretto), o per stabilire il valore dei crediti effettuati nelle relazioni di scambio (quando queste si presentano come un baratto e sono messe in atto senza l’impiego di una vera e propria moneta circolante);

b) i modelli di calcolo economico e monetario che rinviano ad una base di valore energetica e che sono stati sviluppati più sul piano teorico che su quello delle pratiche economiche (di cui F. Soddy ha fornito il primo e più motivato modello circa una ottantina d’anni fa);

c) i sistemi di scambio e credito basati sul tempo di lavoro, di cui le Banche del tempo costituiscono l’esempio più noto e diffuso, ma che vengono ripresi anche in molti circuiti LETS’ (“sistemi di scambi economici locali”), specialmente nei paesi anglosassoni.
Per ogni gruppo indicato esistono naturalmente una pluralità di varianti, molto diverse tra loro in particolare per quanto riguarda il gruppo a), la cui considerazione deve essere rinviata in quanto appesantirebbe eccessivamente la lettura. Gli interessati possono trovare comunque alcuni elementi di approfondimento, in particolare riguardo alla realtà italiana, nella breve appendice inserita a fine testo.

Per quanto riguarda i sistemi monetari privi di una propria base solida di valore vengono considerati nei testi allegati principalmente i sistemi monetari a demurrage (concepiti da S. Gesell già agli inizi del novecento), ai quali viene applicato dai gestori un tasso di deprezzamento annuale perché ciò dovrebbe servire ad aumentare la velocità di circolazione della stessa “moneta alternativa” e dunque i livelli di scambio di beni, o i tassi di crescita economica complessiva.
E proprio per tali caratteristiche di sostegno al rilancio della crescita economica i modelli di monete a demurrage risultano i più problematici dal punto di vista di una decrescita e di uno sviluppo sostenibile, per ragioni che dovrebbero essere abbastanza evidenti. Ma aspetti molto problematici dal punto di vista della sostenibilità socio-ambientale si potrebbero individuare anche per tutte le monete che si ritengono dotate di un valore intrinseco pur risultando prive di proprie basi effettive di valore. L’eccessiva fiducia riposta in questo tipo di monete (dotate di un valore in sé) porta infatti a ritenere che la maggior parte dei problemi economici ed anche socio-ambientali possano essere affrontati con la creazione di un maggior volume di titoli monetari da parte delle singole comunità, il che risulta non solo generalmente falso ma anche pericoloso in quanto può indurre tendenze accrescitive poco fondate e sostenibili.

Maggiormente orientati alla individuazione di limiti o vincoli ambientali, più o meno precisi, sono invece i modelli di monete a base energetica, che si tende oggi ad associare specialmente a nuovi sistemi di fiscalità ecologica. Tra le diverse difficoltà e problemi insiti nei modelli di monete energetiche merita sottolineare come essi non vengano a considerare in genere il problema dei costi principali rilevabili all’interno delle società più sviluppate: che sono soprattutto costi di gestione, mantenimento e manutenzione dei sistemi economico sociali e produttivi esistenti (così come di una parte crescente dei nuovi sistemi di produzione energetica).
Questi costi in molti casi sono largamente collegati al tempo di lavoro impiegato e disponibile ai singoli individui ed alla collettività, e dovrebbero essere considerati anche o principalmente in termini qualitativi.
Si tratta specialmente di costi in termini di fatica, desiderabilità o rinuncia al tempo libero implicati da ogni specifica attività produttiva, ovvero relativi ai livelli di fatica, stress o alienazione veicolati dalle organizzazioni del lavoro esistenti. E si tratta in larga misura di costi valutabili anche in termini di perdita di senso, dovuta in gran parte alla mancanza di legami solidi con i principi del prendersi cura, di cui alcuna base energetica potrà mai dar conto, ma che possono invece venir considerati attraverso sistemi di misura del valore economico espresso in tempo di lavoro, quando questi sistemi sono in grado di dar conto del variare del “valore di scambio” delle diverse attività lavorative e di cura, appunto in relazione alla loro pesantezza, scarsità, utilità ecc.

7] VANTAGGI DEI CREDITI IN TEMPO DI LAVORO

Nei testi allegati i sistemi di credito in tempo di lavoro vengono ritenuti i più funzionali ad affrontare non solo le esigenze di aumento dell’equità sociale e di efficienza economica degli stessi sistemi monetari alternativi ma anche i gravi problemi di dissipazione delle risorse e di degrado ambientale propri delle società attuali.
I sistemi di scambio e di credito in tempo di lavoro possono costituire dei vincoli più solidi allo sviluppo delle attività produttive in quanto risultano collegati a risorse finite ma riproducibili ed effettivamente disponibili ad una società: il tempo di lavoro complessivo dei singoli e della collettività nel suo insieme.

Inoltre i sistemi di scambio e credito in tempo di lavoro possono fornire maggiori e più solidi vincoli di equità e di eguaglianza tra gli agenti economici, pur senza implicare forme di egualitarismo astratte.
Alle diverse attività lavorative può essere attribuito infatti un valore di scambio diverso, proprio in relazione al livello di gratificazione, pesantezza o alienazione implicata in ciascuna attività lavorativa. E la registrazione di queste variazioni può risultare importante anche in quanto può fornire significativi segnali per lo sviluppo di migliori meccanismi di regolazione della divisione sociale del lavoro, se il sistema di scambi in crediti di lavoro viene registrato informaticamente e controllato da organizzazioni con chiare finalità ecologiche e pubbliche.

Viene evidenziato infine come sia importante che ogni credito ottenuto in seguito allo svolgimento di una attività lavorativa possa essere “misurato” e registrato in unità di tempo lavoro standard, o di valore sociale medio, come avviene nei sistemi giapponesi Fureai Kippu o nelle Ithaca Hours, perché ciò consente appunto di attribuire un valore di scambio diverso alle diverse attività lavorative, permettendo inoltre di convertire tutti i costi in moneta ufficiali in unità di tempo (su questi aspetti si può vedere Ruzzene 2014 allegato in A6). E tutto questo può avvenire senza che alcun vantaggio dei crediti in tempo di lavoro venga perso, compreso il vantaggio di far capo a titoli di credito che rimangono inalterabili nel tempo e possono risultare esenti da qualsiasi dinamica di tipo inflazionistico che colpisce sistematicamente le monete ufficiali.

A variare infatti sono solo i valori di scambio delle diverse attività, non l’unità di misura e, soprattutto, non i crediti maturati e registrati in unità standard di tempo di lavoro, che possono rimanere inalterati anche nel lungo periodo, aprendo prospettive molto importanti dal punto di vista dello sviluppo di sistemi di credito alternativi, così come per i sistemi previdenziali e pensionistici che possono mantenere un carattere cooperativo e pubblico contrastando l’egemonia dei fondi pensione ad orientamento speculativo (per un approfondimento di tali aspetti si può vedere in particolare Ruzzene 2008b e Ruzzene 2013).

8] CENTRALITA’ DEL TEMPO DI LAVORO E DELLE ATTIVITA’ DI CURA NEL TERZIARIO AVANZATO

Bisogna sottolineare che l’importanza attribuita in questa ricerca alle attività di cura ed alla misura dei valori economici in tempo di lavoro non corrisponde solo alla volontà di sostenere un modello di sviluppo equo ed ecologico, economicamente e socialmente più sostenibile. Corrisponde anche a condizioni oggettive, strutturali, a dei dati di fatto che caratterizzano le società post industriali, sebbene gli ordinamenti istituzionali costituiti non sempre sembrano tenerne conto adeguatamente.

Come si indicava nei primi paragrafi, lo sviluppo delle attività orientate alla cura è reso necessario in primo luogo dagli stessi orientamenti massimizzanti e unilaterali propri del capitalismo, che nei suoi sviluppi arriva a raggiungere effetti di degrado socio ambientale insostenibili. Ma è anche la crescita enorme della produttività nei settori industriali fortemente automatizzabili a liberare attività e tempo di lavoro, che possono essere re-investite in altri ambiti: o in servizi mercificati che hanno l’effetto di aumentare i costi di vita e le condizioni di lavoro alienato, o nella cura delle condizioni comuni di vita, rispondendo meglio in questo caso sia a bisogni individuali sia ad esigenze collettive.

Viene sottolineato a più riprese come i tempi e le attività dedicate alla cura non siano sottoponibili a intensificazione produttiva e non risultino standardizzabili meccanicamente, principalmente perché devono rispondere a vincoli e dinamiche che risultano in misura significativa più naturali che meccanici.
Più precisamente le attività orientate alla cura risultano sempre più necessarie, e non possono essere meccanizzate in maniera sistematica ed esaustiva, perché implicano un tipo di intelligenza “sistemica” e capacità di orientamento al sentire o al senso, ed anche perché dovrebbero prevedere le conseguenze complessive del loro dispiegarsi, adattandosi ai mutamenti intervenuti negli ambienti in cui si trovano ad operare oltre che alle finalità complessive dell’esistenza umana.

Proprio per questo duplice legame con le dimensioni del senso, del sentire e dei principi di base dell’esistenza, le attività orientate al prendersi cura possono costituire il fulcro di un nuovo modello di organizzazione sociale: non più basato sulla crescita quantitativa del potere di disposizione astratto, monetario, da far valere come mezzo di dominio sociale, ma sul recupero della qualità del lavoro oltre che delle condizioni comuni di vita e dei patrimoni socio ambientali.
E proprio per la possibilità di sviluppare un intreccio tra le dimensioni dei sentimenti e le dimensioni dei principi e dei valori fondamentali dell’esistenza, le attività orientate al prendersi cura sono ricercate da una larga parte di giovani, o almeno da quelli le cui doti di sensibilità e intelligenza non sono ancora state fagocitate e annichilite dal sistema della produzione e dei consumi standardizzati.

9] CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI NELLE PROSPETTIVE DELLA EMANCIPAZIONE DEL LAVORO

Il recupero dei principi del prendersi cura e la loro diffusione nell’ambito delle economie pubbliche, solidali ed ecologiche può portare a mutamenti profondi nella organizzazione economico sociale, nella concezione del lavoro e nelle prospettive della sua emancipazione.
Un miglioramento significativo della qualità del lavoro può derivare in primo luogo già dall’arricchimento dei contenuti di senso che lo sviluppo del prendersi cura rende possibile. E dovrebbe interessare più in particolare le condizioni lavorative interne alle singole organizzazioni produttive quando queste pongono tra le loro finalità anche i principi del prendersi cura delle condizioni lavorative esistenti al loro interno.

Non solo l’organizzazione capitalistica del lavoro ma anche il carattere complesso raggiunto dalla divisione e dalla specializzazione sociale delle funzioni rendono però difficile ipotizzare una modifica significativa di tutte le condizioni lavorative tale da renderle gradevoli e gratificanti per ognuno. Ed anche per questo una riduzione significativa dei carichi di lavoro più gravosi ed alienanti sembra rendersi comunque necessaria, almeno se si vuole far capo ad un modello di sviluppo veramente soddisfacente e desiderabile per tutti.

Una riduzione immediata, consistente, del tempo di lavoro può apparire però a sua volta abbastanza problematica all’interno delle società ad elevata composizione terziaria, caratterizzate da rallentamento delle capacità di crescita produttiva complessiva, aumento dei costi di produzione e riproduzione sociale e pesanti condizioni di debito, pubblico e privato, oltre che dal dominio delle logiche della competizione globale.
Per raggiungere condizioni di equilibrio e sostenibilità economica all’interno delle società terziarie si dovrebbero contrarre inevitabilmente i consumi superflui, mentre quasi ovunque si sta cercando sopratutto di ridurre le risorse riservate alla cura delle persone e dei contesti comuni di vita.
Ma la riduzione dei consumi, comunque necessaria anche per ragioni di sostenibilità ambientale, può essere temperata e assumere valenze progressive solo se si procede ad una riduzione significativa dei carichi di lavoro alienante, pesante o etero diretto, e specialmente se a questa riduzione viene associandosi un ampliamento del tempo di lavoro liberato, dedicato individualmente ad attività più gratificanti e ricche di senso come quelle legate appunto al prendersi cura delle diverse dimensioni dell’esistenza e dell’agire.

Si tratterebbe in sostanza di ridurre il tempo di lavoro alienato, prevalente della maggior parte degli ambiti produttivi, e di sviluppare in proporzione tempo e attività dedicate direttamente alla cura delle persone, dei patrimoni ambientali, naturali e socio culturali, retribuendo queste attività con crediti in tempo di lavoro, anche per ridurre il peso delle risorse monetarie ufficiali e i debiti contratti per procurarsele.
Si dovrebbe trattare di attività scelte dai singoli e concordate con le diverse organizzazioni sociali, secondo i bisogni individuali e le esigenze complessive esistenti. Associazioni di tipo cooperativo potrebbero sostenere i singoli nelle attuazione delle loro scelte, aiutandoli ad organizzare meglio le loro attività orientate al prendersi cura, e potrebbero tutelare le esigenze sociali stabilendo e garantendo criteri di qualità sufficienti delle attività prestate dai singoli al di fuori delle organizzazioni burocratizzate prevalenti nei settori pubblici.

Questo duplice processo, di riduzione del tempo di lavoro alienato ed etero-diretto e di contemporaneo ampliamento della libere attività dedicata dai singoli al prendersi cura delle condizioni comuni di vita, potrebbe diventare importante per le economie pubbliche per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo per la necessità di coprire comunque il vasto campo delle funzioni di cura dei beni comuni, delle persone e dei patrimoni ambientali, per le quali mancano oggi risorse in termini di moneta ufficiale. In secondo luogo per la concomitante necessità delle economie pubbliche di ridurre i costi del loro funzionamento, derivanti in larga parte dalle loro configurazioni burocratiche, ovvero dal carattere opaco e autoreferenziale dei loro apparati di governo politico e di direzione amministrativa, oltre che dall’indifferenza generale per i costi sostenuti negli interventi pubblici.

10] ECONOMIE PUBBLICHE E RIDUZIONE DEL LAVORO ALIENATO

Proprio per questo carattere opaco e tendenzialmente autoreferenziale delle organizzazioni burocratiche e politiche, lo sviluppo delle attività individuali del prendersi cura nel tempo di “lavoro liberato” dovrebbe applicarsi infine alle stesse istituzioni politico statuali e agli organi di governo e di amministrazione della cosa pubblica. Una parte dell’attenzione e del tempo di ciascuno (o perlomeno di tutti quelli che possono essere interessati) potrebbe e dovrebbe essere impiegato cioè nel controllo della formazione delle decisioni politiche e del funzionamento degli apparati di governo e amministrazione pubblica, sia per ridurre i costi complessivi sia per aumentare la qualità dei servizi offerti.
Ne conseguirebbe infatti una riduzione dei costi derivanti da corruzione dell’apparato politico e burocratico, e una diminuzione della spesa per le “grandi opere pubbliche” o per beni scarsamente utili: principalmente perché sono i cittadini a dover pagare con contributi e sacrifici di vario tipo le spese necessarie per opere spesso faraoniche e inutili, utili solo a produrre tangenti e rendite elettorali a chi le ha scelte e gestite senza alcun controllo dal basso. E ne potrebbe derivare infine anche una riduzione dei costi economici e sociali provocati dall’attuale distacco dei cittadini rispetto alle dimensioni pubbliche e collettive.

I maggiori vantaggi ricavabili dalle economie pubbliche così come dalle economie ecologiche e solidali potrebbero essere ottenuti però se al tempo di lavoro liberato e impiegato dai singoli nelle diverse attività di cura dei beni comuni e delle istituzioni pubbliche viene riconosciuta una retribuzione in titoli di credito espressi in tempo di lavoro, creati al di fuori dei circuiti monetari tradizionali, cosi come sta già avvenendo in alcune esperienze compiute in diversi paesi per cercare di far fronte alla crescenti esigenze di tutela ambientale ed alla endemica carenza di risorse monetarie da parte delle amministrazioni pubbliche (vedi al proposito Hallsmith e Lietaer 2012).

I singoli potrebbero compensare la riduzione di “capacità di scelta” nei mercati dei beni, comportata dalla conversione di una quota del reddito monetario ufficiale in titoli di credito in tempo di lavoro (che dovrebbero risultare spendibili solo nei circuiti delle economie pubbliche e orientate al prendersi cura), usufruendo di una riduzione del carico fiscale, applicabile sui redditi in tempo di lavoro derivante da attività legate al prendersi cura, proprio per la chiara utilità sociale ed ecologica di tali attività.
Le amministrazioni pubbliche dei diversi livelli potrebbero ridurre i costi di funzionamento dei loro apparati professionali e, specialmente, i livelli delle spese effettuate in moneta ufficiale (ottenuta ormai solo attraverso una pressione fiscale crescente e a condizione del pagamento di lauti interessi al capitale finanziario). E si potrebbe avere in questo modo sia una riduzione della dipendenza delle economie pubbliche rispetto al finanziamento di tipo speculativo, sia una riduzione significativa del livello del loro debito (su tali aspetti vedi Ruzzene 2013).

Va sottolineato infine che lo sviluppo di crediti in tempo di lavoro nei settori pubblici oltre a ridurre il volume delle risorse in moneta ufficiale, necessarie per il funzionamento delle economie pubbliche, può nello stesso tempo fornire una importante e solida base di domanda per i settori produttivi e di servizio orientati dai principi del prendersi cura nel nostro paese. E si tratterebbe di condizioni di domanda più stabili, equilibrate, maggiormente radicate nelle realtà locali, e in grado di risultare più autonome rispetto ai condizionamenti esercitati dalla competizione economica globale.

[11] SCENARI DI TRANSIZIONE: UN PATTO POLITICO SOCIALE PER NUOVE FORME DI PROTEZIONE, ECOLOGICHE ED UNIVERSALISTE

Sia la prospettiva di sviluppo delle economie pubbliche ed orientate dai principi del prendersi cura, sia la prospettiva di riduzione del tempo di lavoro alienato, necessario o eterodiretto, finirebbero inevitabilmente per incontrare grosse resistenze da parte dei mercati capitalistici, o meglio delle concentrazioni di potere economico-finanziario che li condizionano pesantemente.

Per far fronte a tali resistenze bisogna prima di tutto dar luogo ad un nuovo “patto sociale e politico”, basato sulla solidarietà e la cooperazione tra singoli cittadini, imprese private, associazioni, partiti a vocazione solidale ed ecologica, ed organizzazioni pubbliche: nel comune impegno per l’espansione dei principi del prendersi cura e per il miglioramento delle condizioni di vita del maggior numero di persone. Ciò implica in primo luogo approdare a nuove forme di protezione dei patrimoni ambientali, delle persone e delle loro capacità lavorative, forme di protezione che non devono risultare particolaristiche e nazionalistiche, come la maggior parte dei protezionismi tradizionali, ma possono conservare appunto valenze ecologiche ed universali proprio per le finalità che le ispirano.
Proteggere i patrimoni ambientali, naturali e socio culturali, prendendosene cura già al livello locale implica infatti portare dei benefici alla pianeta, alla biodiversità e a tutte le comunità umane, diffuse su scala globale. E lo sviluppo di una ampia mole di sistemi di scambio solidaristici, senza rendite ed interessi monetari, ha già dimostrato la piena funzionalità di alcune “monete alternative” nello sviluppo di reti spontanee di protezione e di reciproco sostegno tra i membri di gruppi e comunità, più o meno ampi, che si possono affermare e dispiegare senza il bisogno di alcuna imposizione dall’alto: in termini di prezzi controllati, restrizioni economiche e tariffe doganali.
Si tratta di forme di protezione non rivolte a limitare l’azione di scambio rispetto ad altre comunità, ma che dovrebbero limitare le spinte allo sfruttamento di ogni risorsa veicolate dai sistemi capitalistici, i quali agiscono all’interno di ogni paese, perseguendo finalità non solo egoistiche e unilaterali ma ormai anche di corto respiro. In questa lotta pacifica contro un avversario interno e comune, altrimenti incontrastabile, tutte le comunità del mondo mosse da intenti ecologici e solidaristici possono aggregarsi trovando nei sistemi di scambio, credito e determinazione dei valori economici in tempo di lavoro uno degli strumenti più potenti ed efficaci.
Sistemi di misura economica in tempo di lavoro possono avere valenze e validità universali, sottraendosi in più alla maggior parte delle dinamiche di variabilità e di perdita di valore che colpiscono strutturalmente le monete ufficiali, ormai prive di una base solida e stabile in termini sia di valore e di vincoli, sia di misura. Ciò che può cambiare, anche nei rapporti tra comunità diverse, sono come già ricordato solo i valori di scambio attribuibili concordemente alle attività e ai beni scambiati. E sulla base della registrazione di unità di tempo (di lavoro di valore medio), scambi di beni e attività possono svilupparsi fruttuosamente anche tra comunità dotate di diverse capacità produttive, o molto distanti nello spazio (vedi Ruzzene 2008 in allegato A1), ma che possono convergere quando gli scambi economici tra queste comunità risultino ecologicamente e socialmente sostenibili.
Proprio per la possibilità di mantenere inalterabile il loro valore nel corso del tempo i crediti in tempo di lavoro si prestano a sviluppare forme di finanziamento senza interessi per tutte le economie che incontrano difficoltà nella crescita produttiva, prime fra tutte le economie pubbliche. Crediti calcolati in unità di tempo di lavoro di valore medio e stabiliti volontariamente tra gli aderenti di una comunità possono sostituire i crediti contratti in moneta ufficiale dalle economie pubbliche nei confronti degli agenti finanziari mossi da intenti speculativi (per ulteriori dettagli vedi Ruzzene 2013 e 2015).

Infine gli stessi titoli di credito in tempo di lavoro potrebbero veramente dar luogo a forme di reddito esenti da ogni dinamica inflazionistica, sia per il lavoro dipendente sia per i pensionati, consentendo così di mantenere inalterato il potere d’acquisto, specie dei redditi medio bassi, anche in contesti altamente inflazionistici come quelli che si possono prospettare in seguito ad un’eventuale fuoriuscita dall’Euro o a una sua implosione.

[12] OLTRE L’EURO (E IL MERCATISMO SPECULATIVO, TECNOCRATICO E AUTORITARIO CHE LO SOSTIENE)

Affinché i mutamenti prospettati possano affermarsi nei contesti attuali, caratterizzati da una permanente egemonia dei paradigmi liberisti, tecnocratici e capitalistici, si renderanno presumibilmente necessarie particolari condizioni di crisi, acute, sistemiche e prolungate (come quelle analizzate in Ruzzene 2008b e Bonaiuti 2013).
L’occasione può essere data dal riesplodere della prossima crisi finanziaria globale, dall’inasprirsi delle difficoltà economiche che minano i paesi più deboli come l’Italia, e dal crescere ulteriore del loro debito pubblico che ha raggiunto livelli ormai insostenibili.

Uscire fuori dall’euro e dalla gestione finanziaria della banca centrale europea si potrà presentare allora come un passo necessario e inevitabile: se una quota consistente dello stesso debito pubblico di tutti i paesi, ed in particolare dell’Italia, non verrà ricontrattata o “annullata”, o se non verrà assunta in carico dalla banca centrale europea con finanziamenti a tasso zero, cosa oggi abbastanza improbabile visti gli attuali equilibri di potere e le ideologie imperanti.
Si presenterebbe allora come molto più vantaggioso lo scenario dei sistemi monetari multipli, complementari, paralleli o alternativi già auspicato da diversi studi rigorosi sull’argomento (Robertson 2012, Lietaer e altri 2012).
Una soluzione in grado di ridurre al minimo i danni derivanti dalle attuali configurazioni monetarie e finanziarie, dovrebbe prevedere lo sviluppo e il mantenimento di almeno tre piani o ambiti monetari (di scambio e credito) ben distinti.

Il primo è individuabile nella scelta del mantenimento di una moneta “internazionale” come l’Euro, da impiegare negli scambi tra i diversi paesi, per quei soggetti in grado di reggere la competizione economica internazionale senza dover intensificare lo sfruttamento delle risorse esistenti all’interno del paese in cui si trovano ad operare. E questa soluzione potrebbe avere valenze soprattutto simboliche (l’aspirazione ad un’unità di intenti e ad un’integrazione politica che risultano in Europa ancora molto deboli).
Se risultasse sostenuta da una più forte volontà cooperativa e solidale, una moneta internazionale potrebbe diventare mezzo di regolazione degli squilibri o dei disavanzi che si verificano nei rapporti commerciali tra paesi più forti e paesi più deboli. Ma ciò potrebbe avvenire solo se si facesse capo ad un sistema di compensazione degli squilibri tipo “clearing house”, come quello prospettato da Keynes con l’introduzione del Bancor, per la riforma del sistema commerciale e monetario internazionale verso la fine della seconda guerra mondiale (vedi al proposito, Fauri 2006). E tutto ciò non sarebbe comunque di alcun aiuto ad affrontare il problema del debito pubblico dei paesi europei più deboli ed in particolare dell’Italia.

Quando il debito pubblico raggiunge livelli insostenibili come nel caso italiano e greco, o si procede ad una sua drastica “ristrutturazione”, riconoscendone come rimborsabile solo una parte, oppure si deve poter contare su valute nazionali che possono essere soggette a diverse dinamiche di perdita di valore o svalutazione. Queste portano di fatto a ridimensionare in parallelo lo stesso valore del debito accumulato, determinando sacrifici da parte dei creditori (Attali 2010, Gesualdi 2013). Ma porterebbero anche ad una contrazione dei consumi interni che potrebbe tornare a vantaggio delle esportazioni verso l’estero, a patto che le attività economiche risultassero comunque rispettose dei vincoli ambientali, etici ed ecologici, che devono farsi valere comunque anche nei confronti delle produzioni orientate al profitto.

Le valute nazionali dovrebbero servire più in particolare per ottenere e gestire le risorse necessarie per il pagamento del debito già contratto nei confronti delle banche e degli investitori istituzionali (che agiscono a fini di profitto), perché il debito pubblico dovrebbe essere pagato sulla base delle reali capacità economiche di un paese, cioè usando la sua valuta che in genere diventa tanto più debole quanto più aumenta il livello del debito complessivo, specie verso l’esterno.
L’indebolimento di una moneta rispetto alle altre valute porta ad aumentare i tassi di interesse pagati sul debito nazionale, ma questi risultano generalmente inferiori ai tassi di svalutazione monetaria reale (i quali si misurano non solo nei rapporti tra le valute nazionali ma anche sul fronte interno, in termini inflazionistici o di aumento dei prezzi dei beni).
Per questo l’indebolimento di una moneta e le spinte inflazionistiche portano in genere a ridurre il valore reale del debito accumulato, svalutandolo cioè riducendolo progressivamente, specie quando il debito è contratto interamente all’interno di un paese (vedi Attali, 2010).

Costringere però un paese dotato di un’economia debole a pagare un debito elevato con una moneta forte (esterna al suo sistema economico) come si fa attualmente, costringendo gli stati europei a finanziarsi nei mercati speculativi internazionali, significa decretarne un fallimento quasi inevitabile e abbastanza rapido. A dimostrarlo sono ormai, in maniera inequivocabile, i gonfiamenti esorbitanti di tutti i debiti pubblici dei maggiori stati europei, a cui è stato proibito ormai da alcuni decenni di finanziarsi ricorrendo al sostegno delle rispettive banche centrali, oltre che i numerosi default dei paesi latino americani, per finire con il recente caso della Grecia, che si trova ormai di fatto ad impiegare una valuta che risulta “straniera” ed ostile da più punti di vista.

13] UNA VIA OBBLIGATA PER AFFRONTARE ELEVATI LIVELLI DI INFLAZIONE E SVALUTAZIONI MONETARIE

La reintroduzione di valute nazionali in contesti economici deboli (come nel caso Italiano o greco) avrebbe sicuramente come effetto la riaccensione di forti processi inflazionistici sul fronte interno, e una perdita progressiva del valore delle nuove valute, specie sul piano internazionale, accentuati dagli inevitabili attacchi speculativi che ne potrebbero conseguire. Neanche le monete presunte più forti come l’euro o il dollaro possono comunque sottrarsi alle pressioni e agli attacchi portati dalla finanza e dai mercati speculativi.
Ne hanno dato una prova evidente le stesse politiche economiche europee attuate sin’ora, completamente piegate alle regole e ai vincoli imposti dagli stessi sistemi finanziari speculativi e dalle loro dinamiche di crescita monetaria incessante e dissipativa. Mentre l’indebolimento di una moneta nel lungo termine non può che rispecchiare la reale solidità di un’economia valutata dal punto di vista della competizione capitalistica globale, che determina e regola oggi le principali dinamiche e valenze assunte dai sistemi monetari, sia nazionali che internazionali, e a cui è impossibile sottrarsi se si permane nell’ottica della pseudo liberalizzazione liberista (tutta a vantaggio degli agenti finanziari e contro gli interessi delle collettività).

Per conseguire indipendenza da ogni dinamica dissipativa ed inflazionistica dei sistemi monetari nazionali e internazionali, salvaguardando gli interessi della collettività, e specialmente i gruppi a reddito fisso e medio basso, si deve ricorrere come terzo ordine di strumentazioni monetarie a sistemi di scambio di retribuzione e di credito alternativi, ed in particolare a sistemi di scambio e credito in tempo di lavoro, per tutte le ragioni già indicate nei paragrafi precedenti.
In estrema sintesi, e rinviando ai materiali allegati per approfondimenti si può dire che sistemi di credito e scambio in tempo di lavoro possono svolgere tutte le funzioni principali proprie dei sistemi monetari ufficiali, tranne quella di stimolo e indicatore degli incrementi competitivi di crescita economica (si veda su quest’ultimo aspetto Ruzzene 2009). E possono svolgere la maggior parte delle funzioni dei sistemi monetari tradizionali in maniera molto più efficace ed economicamente razionale.

Come già indicato, i crediti in tempo di lavoro possono fungere specialmente da mezzo di retribuzione e di pagamento (inizialmente parziale) dei beni e servizi scambiati nell’ambito delle economie ispirate dai principi del prendersi cura, senza dover sottostare appunto ad alcuna dinamica inflazionistica o di aumento dei prezzi proprio in quanto rinviano ad una base di valore inalterabile. E possono servire per finanziare con risorse interne ad ogni paese le economie pubbliche e il livello di debito riconosciuto legittimo, senza interessi e senza alcun rischio di perdita economica da parte dei risparmiatori che fanno parte della comunità (i quali potrebbero contare sulla stabilità del valore dei loro crediti in tempo di lavoro ed anche sull’esistenza di beni e servizi reali e di qualità come i beni comuni e i servizi di cura gestiti ed erogati nell’ambito delle economie pubbliche, quale principale garanzia sottostante).

La necessità (e il debito) in termini di moneta ufficiale si potrebbe ridurre significativamente, mentre i singoli risparmiatori avrebbero un notevole interesse economico a porre i propri risparmi in unità di tempo per metterli al riparo dagli esiti di svalutazione inflazionistica che continuerebbero a colpire la propria moneta nazionale.
Per motivare ulteriormente i singoli ad adottare i crediti in tempo di lavoro questi dovrebbero essere accettati, come viene ormai invocato da molti sostenitori delle monete alternative, quali mezzi di pagamento di tasse e contributi (in particolare locali ma anche nazionali se si fa capo a sistemi di scambio e credito costituiti su base nazionale). E i crediti in tempo di lavoro potrebbero infine fungere da stabile e sicuro mezzo di accantonamento previdenziale a fini pensionistici, proprio in quanto esenti da dinamiche speculative e inflazionistiche che nel lungo periodo portano inevitabilmente a perdite molto più ampie delle rendite e dei magri margini di interessi garantiti dalle banche e dal sistema dei fondi pensione (per esempi abbastanza semplici e che lasciano pochi dubbi si può vedere: Scienza 2005, Ruzzene 2005 e 2014).

Poter contare su unità di misura, e mezzi di retribuzione e credito in grado di mantenere il loro valore stabilmente, anche in contesti dominati da sistemi monetari altamente inflazionistici, potenzierebbe notevolmente lo sviluppo dei crediti in tempo di lavoro, oltre che lo sviluppo delle economie orientate dai principi del prendersi cura, aprendo veramente la strada a modelli di sviluppo economico sociali sostenibili, più stabili ed equilibrati nel lungo periodo.
Definirle come prospettive di decrescita o di sviluppo sostenibile può importare poco, dato che tutto dipende dalle valenze che si attribuiscono a tali termini, e dal tipo di scenari che si possono delineare o meglio che si riuscirà a concretizzare.

14] PER UNA DECRESCITA SOSTENIBILE

Condizioni di crisi economiche gravi si sono già dimostrate come il terreno più fertile per la crescita significativa delle monete alternative, come nel caso argentino (vedi al riguardo Gomez 2012). Ma l’aver replicato titoli monetari simili a quelli ufficiali, senza disporre dei mezzi per contrastarne la proliferazione e la falsificazione, ha portato alla rapida crisi e liquidazione delle stesse esperienze di monete alternative argentine affermatesi nei contesti di crisi economiche acute.

Poter contare su titoli di credito vincolati al tempo di lavoro e ai beni disponibili ad una comunità permetterebbe di evitare proliferazione e falsificazione dei titoli monetari, ma non consentirebbe di risolvere automaticamente i problemi connessi con l’esigenza di attivare tutti gli scambi necessari per garantire un funzionamento soddisfacente del sistema, reddito sufficiente per tutti e una buona ripartizione dei carichi di lavoro. Per ottenere questi obiettivi si renderebbe assolutamente necessaria una adeguata attività di programmazione economica collettiva, riguardante l’impiego delle risorse disponibili sulla base dei vincoli ambientali ed economici esistenti (non dal lato dei principi di redditività capitalistica ma innanzitutto dal lato delle condizioni di equilibrio tra domanda e offerta, o meglio tra bisogni e risorse disponibili, che dovrebbero essere rispettate sempre, in ogni sistema economico).

E dunque anche la vecchia questione delle possibili forme di programmazione dello sviluppo economico sociale deve essere ripresa, dati gli attuali fallimenti dei sistemi di mercato ai fini di un’allocazione eticamente ed ecologicamente sostenibile delle risorse.
Anche ai fini di una attività di programmazione collettiva di un impiego sostenibile delle risorse disponibili, lavorative e naturali, i sistemi di determinazione economica in tempo di lavoro potrebbero fornire ottimi risultati. Ma solo in quanto basati sulla variabilità del valore di scambio delle diverse attività lavorative, e soprattutto in quanto collegati ad un sistema di registrazione informatica di tutti gli scambi avvenuti e del movimento dei crediti e debiti che si andranno sviluppando su scala complessiva, per i diversi settori e attività.

La variabilità dei valori di scambio attribuiti alle differenti attività lavorative dovrebbe consentire una buona regolazione delle dinamiche di divisione sociale del lavoro (portando i singoli a modificare le proprie occupazioni in relazione ad un variare del valore delle diverse attività che rifletterebbe l’insieme delle esigenze individuali e complessive).
La distribuzione sociale del lavoro potrebbe avvenire meglio che nei mercati capitalistici, regolati da asimmetrie di potere e relazioni di dominio tra gli agenti che diventano sempre più marcate. Ma se si vuole evitare che i lavori più pesanti e meno desiderati finiscano per essere svolti dai ceti più deboli a tutto vantaggio dei ceti privilegiati, riproducendo di fatto nuove forme delle vecchie società di caste, la collettività e i suoi organi di governo dovrebbe stabilire i principi e i meccanismi per una più equa ripartizione dei carichi di lavoro più pesanti, oltre che per una più equa ripartizione delle quote di tempo di lavoro maggiormente ricercate perché più gratificanti.

A prescindere da questi aspetti bisogna ribadire che la costituzione di sistemi di crediti in tempo di lavoro non può garantire una crescita economica complessiva ma solo una crescita delle economie orientate dai principi del prendersi cura, e solo fino ad un certo punto.
Raggiungere livelli di ampiezza adeguati significherebbe comunque per questo tipo di economie acquisire condizioni di maggiore autonomia rispetto alle dinamiche capitalistiche, mentre tutto il sistema potrebbe risultare più stabile, equilibrato e radicato sul proprio territorio, molto più di quanto lo siano gli attuali sistemi economici.
Sia l’adozione dei principi del prendersi cura, sia una ri-localizazione pronunciata delle attività economiche avrebbero quasi sicuramente l’effetto di ridurre le capacità di crescita produttiva implicate negli orientamenti capitalistici e nelle economie di scala favorite dalla divisione internazionale del lavoro. Ne dovrebbe conseguire una inevitabile riduzione di una quota più o meno ampia dei consumi, specie di quelli superflui, mentre i consumi dei generi di lusso dovrebbero essere fortemente tassati a fini di una più equa redistribuzione della ricchezza sociale.

Alla riduzione dei consumi superflui potrebbe accompagnarsi però una significativo aumento della qualità: dei prodotti e dei servizi, pubblici e privati, delle attività lavorative, ma soprattutto dei contesti ambientali e più in particolare delle relazioni e dei tessuti socio istituzionali.
Si tratterebbe di quell’ormai necessario passaggio dalla quantità alla qualità auspicato da S. Latouche nel suo “La scommessa della Decrescita”, e che i sociologi delle nuove economie proclamano ormai da alcuni decenni ma che i sistemi capitalistici non possono conseguire se non a costo di rinnegare la loro stessa natura e il loro fine principale: una crescita monetaria unilaterale ed incessante.

Anche per questo si può ritenere che alcun progetto o ipotesi di trasformazione emancipativa possa prendere corpo e dimensioni sufficienti se non si accompagna con un ridimensionamento più o meno drastico di tali economie e dei loro sistemi monetari e finanziari. In altre parole una decrescita sostenibile può presentarsi solo come decrescita delle economie capitalistiche, e sulla base di uno sviluppo equilibrato delle economie del prendersi cura, dove il termine sviluppo dovrebbe essere usato, come avviene nel linguaggio corrente, non per indicare una crescita incessante ma un cambiamento evolutivo delle condizioni di esistenza: degli individui e delle loro organizzazioni sociali, principalmente in relazione al mutamento dei contesti ambientali e delle condizioni comuni di vita sulla terra.

Dal recupero dei principi del prendersi cura all’interno dei processi produttivi e delle attività lavorative, nelle dimensioni economiche, politiche e socio culturali, può dipendere infine la possibilità che al tempo di lavoro venga riconosciuto un valore duplice, certo ambivalente ma realmente significativo. Non solo per esprimere la fatica e i costi inevitabili che ogni lavoro comporta, e che devono comunque stare alla base della formazione di ogni valore economico, ma anche per esprimere le valenze positive che le attività lavorative possono assumere, in termini di gratificazione personale e di arricchimento degli orientamenti al senso, individuali e collettivi.

 

APPENDICE: APPROFONDIMENTO SUI MODELLI PRINCIPALI DI MONETE ALTERNATIVE SPERIMENTATI IN ITALIA

Nel gruppo di sistemi monetari o pseudo monetari alternativi che non sono in grado di riferirsi ad una base di valore solida e stabile nel tempo (compresi nel paragrafo sei all’interno del gruppo a ) possono esser fatti rientrare due sistemi “monetari” molto diversi tra loro:

– a1) i sistemi che si basano sulla creazione di una moneta in senso proprio, la quale viene ritenuta avente un proprio valore intrinseco, anche se del tutto convenzionale, e viene creata “a priori” o prima dello svolgimento di alcuna attività produttiva e di scambio (rientrano in questo sottogruppo il Simec e L’EcoAspromonte messi a punto nei primi anni del nuovo millennio rispettivamente da G. Auriti, nel piccolo centro di Guardiagrele (Chieti) e da T. Perna nell’area del Parco Aspromonte);

– a2) i sistemi che si limitano ad emettere titoli di credito sulla base di attività produttive e di scambio già svolte, ricorrendo solo nelle fasi iniziali ad una creazione molto limitata di titoli di credito senza sottostante o “a priori”, giusto per stimolare l’avvio delle attività di scambio (rientrano in questo caso i sistemi “clearing house” o a “camera di compensazione”, come il sistema Sardex, che costruiscono relazioni di scambio e contabilità in cui gli agenti possono trasferirsi i crediti acquisiti, o redimerli in moneta ufficiale solo alla fine di un periodo prestabilito).

Un caso a parte è costituito dal sistema di buoni sconto come l’Arcipelago SCEC, diffuso un po’ ovunque nel nostro paese. Pur condividendo alcune finalità ed intenzioni proprie delle altre monete alternative, quali il costruire reti di relazioni economiche locali e solidali, i sistemi basati sui principi del “buono sconto” non possono essere considerati né come titoli monetari né come sistemi di scambio e credito veri e propri. Riguardo al loro impatto sociale o ecologico tutto dipende invece dal modo in cui viene concepito e sviluppato il circuito degli scambi tra beni o prestazioni, che comunque viene svolgendosi in genere sulla base di prezzi espressi in moneta ufficiale (su ci viene effettuato appunto uno sconto variabile attorno al 20%) e che soprattutto sembra incontrare notevoli difficoltà in questa fase, dopo una serie di successi iniziali.Lo stesso sistema dei buoni sconto può essere usato o integrato comunque all’interno di altri sistemi di credito alternativi come le camere di compensazione, specie per rafforzare la possibilità del coinvolgimento di singoli individui e “consumatori” (come sta avvenendo nel sistema Quinc, in via di sperimentazione da un paio di anni nell’area della provincia di Rimini con il sostegno della Camere di Commercio locale).

Per quanto riguarda i problemi principali sollevati da questi modelli, il primo sottogruppo (a1) di monete alternative, quelle che si ritengono dotate di un proprio valore, intrinseco o autonomo, da luogo innanzi tutto a difficoltà di ordine giuridico- legale (per la creazione di titoli monetari veri e propri, paralleli a quelli ufficiali). Specialmente con l’aumentare delle dimensioni dei circuiti di scambio alternativi si può stimolare le tendenze alla creazione eccessiva (indebita o inflazionistica) di titoli monetari, come è avvenuto nel corso delle crisi argentine, verificatesi a cavallo del nuovo millennio, e che hanno finito per coinvolgere un numero rilevante di monete locali (Gomez 2012). Infine tali monete si prestano ad ampie possibilità di una loro falsificazione, crescenti anche queste con il crescere dei volumi degli scambi.

Più in generale si può dire che il limite maggiore delle monete che si ritengono dotate di un loro valore intrinseco (anche se mancano di una base reale che lo determini o che aiuti a stabilire dei limiti all’emissione complessiva di moneta) può essere individuato nel pregiudizio molto diffuso che sia sufficiente creare nuova moneta per avere un rilancio economico equilibrato, o per poter soddisfare una molteplicità di bisogni, mentre spesso le decisioni sul livello di creazione complessiva di moneta non sembrano appunto tener adeguato conto del problema dei vincoli economici e dei limiti ambientali che si dovrebbero stabilire per ogni attività economica, comprese quelle solidali.

Nel caso dei sistemi di scambio e credito senza impiego di monete effettive, tipo Sardex e Quinc, la vera base del valore dei titoli di credito messi in atto sta invece nelle attività e nei beni scambiati, il cui valore viene determinato o espresso in un titolo monetario fittizio avente funzioni prettamente contabili e che per questo deve sempre rinviare all’Euro per stabilire il valore dei beni scambiati e dei titoli di credito registrati.
C’è in sostanza il rinvio ad una qualche base di valore “esterna” al titolo di credito (che non viene considerato in genere come titolo monetario dotato di un valore in sé) individuabile appunto nei servizi prestati e nei beni scambiati, ma manca l’individuazione di una unità di misura appropriata, in grado di risultare indipendente e autonoma dalla moneta ufficiale. Anche per tali ragioni questa tipologia di “credito monetario” rimane dipendente non solo dalle monete ufficiali ma anche da una parte delle fluttuazioni che ne contrassegnano l’esistenza in periodi di gravi squilibri, non solo in condizioni di crisi sistemiche ma anche di fronte a bolle e gonfiamenti speculativi.

La persistenza sul piano sistemico di squilibri e tendenze dissipative, come ampie tendenze inflazionistiche o fluttuazioni nei cambi valutari, può del resto non interessare molto questi modelli di monete alternative in quanto le strumentazioni monetarie vengono considerate come puri mezzi di scambio, generalmente locale, prevedendo una scadenza del valore dei crediti, con l’obbligo di redimerli in moneta ufficiale, alla fine di ogni ciclo economico prestabilito (generalmente un anno). Questo impedisce di fatto un possibile uso di questi modelli nello sviluppo di forme di finanziamento alternativo, specie di lungo termine e in contesti turbolenti, e specialmente nel caso delle economie pubbliche, evidenziando la necessità di individuare criteri e unità di misura del valore economico più adeguati, come quelli che potrebbero essere sviluppati appunto sulla base del riferimento al tempo di lavoro per tutte le ragioni già indicate.

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