Pubblichiamo la recensione di Alberto Castagnola del libro “Che cosa è la decrescita oggi”, pubblicata anche su comune-info.net, premetendo che il titolo originale è “The case for degrowth” (“Il caso per la decrescita”), un pò meno assoluto e pretenzioso…

 

Nel mese di agosto del 2022 è apparso nelle Edizioni Ambiente il volume di G. Kallis, S. Paulson, G. D’alisa, F. Demaria – con prefazione di V. Asara ed E. Leonardi – dal titolo molto attraente Che cosa è la decrescita oggi. Oggetto, la linea di pensiero alternativo che da alcuni decenni si contrappone ai principi del sistema economico capitalistico dominante.

Nella introduzione i due autori, Asara e Leonardi, presentano una ampia sintesi dei più recenti sviluppi del pensiero della decrescita, sia internazionale che italiano. Inoltre sottolineano che il rapido peggioramento della crisi climatica che moltiplica i danni al pianeta e a tante popolazioni, rende sempre più attuale e necessario il ricorso alle alternative ancora possibili alla logica sempre più distruttiva dell’economia capitalistica. Nella prefazione al testo elaborato da Kallis e dagli altri, emerge subito che l’edizione in inglese risale all’aprile del 2020 e quindi risente della grave pandemia di Covid 19 (ancora oggi in piena diffusione in paesi come la Cina). Il testo sottolinea subito che lo squilibrio ecologico e tutta una serie di disfunzionalità sociali siano da attribuire all’incessante ricerca della crescita economica. Inoltre la crescente facilità con cui i virus passano dagli animali agli umani dipende dall’espansione dei sistemi agroindustriali, dall’antropizzazione degli ecosistemi e dal commercio della fauna selvatica, tutti elementi integranti dell’attuale economia della crescita. E quindi gli autori definiscono subito cosa per loro è la decrescita:

“Obiettivo della decrescita è arrivare deliberatamente a un rallentamento, al fine di minimizzare i danni agli esseri umani e agli ecosistemi terrestri”.

“Per noi, la cura e la solidarietà sono principi vitali della società della decrescita, oltre che motori per muoversi in direzioni più eque e sostenibili”.

E ancora:

”La fine della crescita non passa necessariamente per una transizione graduale. Potrebbe benissimo verificarsi in modo non pianificato e disordinato, in condizioni che non abbiamo scelto”.

“Serve una combinazione tra sacrificio e solidarietà, interesse personale e collettivo, interventi del governo e consenso popolare”.

“Abbiamo bisogno degli Stati per la sicurezza e l’assistenza sanitaria, per la protezione dell’ambiente e per predisporre misure di previdenza e sicurezza sociale”.

”Mentre scrivevamo questo libro sapevamo che avremmo dovuto faticare parecchio per convincere i lettori della validità della decrescita. Il nostro compito potrebbe in qualche modo essere più semplice oggi, dato che si sono accumulate le prove che l’attuale sistema sta crollando sotto il suo stesso peso”.

E concludono.

“È ora di concentrarsi sulle cose che contano davvero: non il prodotto interno lordo, ma la salute e il benessere delle persone e del pianeta. In una parola, sulla decrescita”.

È evidente che questa prefazione è stata scritta nei mesi culminanti della pandemia, ma soprattutto che il loro uso della parola “decrescita” non allude a un sistema completo, del tutto alternativo a quello capitalistico dominante, ma solo a un insieme di processi, molto graduali ed esposti a continui cambiamenti, necessari per affrontare crisi economiche e ambientali sempre più gravi e diffuse. Gli autori conoscono evidentemente il cinquantennale “pensiero della decrescita”, ma optano in favore di soluzioni possibili e sostenibili, che permettano miglioramenti delle condizioni umane e del pianeta immediatamente percepibili.

Dal quarto capitolo in poi gli autori cercano di indicare una serie di misure, economiche e sociali, che “danno l’opportunità di far emergere nuovi sensi comuni e sviluppare le infrastrutture che promuovono la decrescita” (pag, 85), in particolare vengono presentati “cinque tipi di riforme che possono favorire percorsi futuri nel cui ambito le persone possano lavorare, produrre e consumare di meno, condividere di più, godendosi più tempo libero e vivendo con più gioia e dignità”. Questo pacchetto di misure comprende il Green New Deal senza crescita, il reddito di cura e i servizi universali, la promozione dei beni comuni e delle gestioni comunitarie, la riduzione dell’orario lavorativo. Infine un sistema di finanza pubblica a supporto delle prime quattro misure. Poco più avanti una precisazione molto significativa:

“La nostra concezione della decrescita coincide con gli approcci integrati al Green New Deal e con gran parte degli obiettivi indicati nella risoluzione del Congresso degli Stati Uniti del 2019”, (pag. 86).

Si possono quindi formulare subito almeno due critiche piuttosto rilevanti: gli autori fanno spesso riferimento alle istituzioni e a fonti di finanziamento pubbliche e quindi la loro visione del pensiero della decrescita ne risulta pesantemente inficiata. Nelle pagine successive gli autori evidenziano la migliore qualità del Green New Deal europeo, che auspica l’abbandono del dogma della crescita infinita e una maggiore attenzione a ciò che conta davvero, cioè: “salute, felicità, ambiente”. Secondo gli autori, la decrescita e il GND condividono l’impegno verso un impiego rapido e massiccio delle rinnovabili; la decarbonizzazione dei trasporti e dell’agricoltura; ristrutturazione e costruzione di edifici accessibili e a emissioni zero; riforestazione; rigenerazione ecologica; una Commissione per la giustizia ambientale; usare meno energia. Anche in questo caso, si tratta di obiettivi validi e urgenti, ma forse troppo generici e comunque privi di indicazioni relativi ai costi e ai tempi di realizzazione e soprattutto: quale sarebbe l’entità responsabile? Anche le ipotesi di finanziamento di tutti questi interventi (pag. 88) sono di fatto apparentemente precise (emissioni di bond da parte di governi, ricorso ai fondi pensione, ecc.), in realtà mancano cifre, costi finanziari, recupero dei fondi erogati, ecc.). Nelle pagine successive gli autori forniscono delle indicazioni maggiori sui servizi di base universali e sul reddito minimo garantito, ipotizzando per il primo il ricorso “alla eliminazione di due terzi delle esenzioni fiscali a cui oggi è possibile accedere”, mentre per il reddito minimo garantito, universale e senza condizioni per definizione, si ipotizza un finanziamento “con un modesto incremento (10/15 per cento) delle tasse per i più ricchi” (pag. 89), misura facile da immaginare e forse largamente condivisa da tutti i detentori di redditi economici, ma che finora è stata realizzata solo da tre o quattro super-ricchi di buona volontà e mai intrapresa dalla assoluta maggioranza degli Stati.

Nelle successive quindici pagine del capitolo vengono presentate decine di iniziative che potrebbero essere prese sostituendo le aziende private e pubbliche attuali con cooperative municipali o di consumatori, cioè riducendo le spinte alla privatizzazione e sostituendole con attività dal basso. Ad esempio,

“Invece che da aziende orientate al profitto, servizi come l’acqua, l’energia, la gestione dei rifiuti, i trasporti, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la cura dei più piccoli possono essere erogati da cooperative municipali o di consumatori” (pag.92).

“Se si riuscisse a liberarle dall’obiettivo di generare profitti, le utility e l’edilizia pubblica potrebbero essere ripensate come beni comuni, creati e mantenuti in attività da sistemi di governance collettivi”.

Molti degli esempi portati di iniziative alternative derivano da attività concrete in atto a Barcellona, dove gli autori vivono:

“Conversione di spazi inutilizzati in piazze o parchi, abolizione degli ingressi a pagamento e delle barriere per l’accesso alle aree naturali (coste, foreste, montagne). E ancora,

“In contesti e su scale diversi, le normative, i sussidi e gli sgravi fiscali attualmente pensati per promuovere il profitto privato, possono essere riallineati per sostenere le imprese sociali e le cooperative. Tra le opzioni, la formalizzazione giurisdizionale, la formazione e l’assistenza alle start up che lavorano con i beni comuni; la priorità negli appalti pubblici, i fondi gestiti dalle banche etiche, le agevolazioni fiscali e per la sicurezza sociale, il trasferimento della proprietà delle aziende fallite ai lavoratori, e altro ancora“ (pag.93).

Ampio spazio viene poi attribuito alle diverse forme di riduzione degli orari di lavoro, rese possibili dalla moltiplicazione della produttività per ogni ora di lavoro realizzata nell’ultimo secolo. Tuttavia è noto che la maggior parte dei proventi derivanti dalla crescita della produttività è andata a vantaggio delle aziende e dei dividendi degli azionisti. Le proposte formulate dagli autori riguardano la possibilità che governi e aziende potrebbero ridurre le ore di lavoro attraverso vacanze pagate più lunghe, congedi parentali e per l’assistenza, periodi sabbatici, orari giornalieri più brevi, settimane lavorative di quattro giorni, facilitazioni del part time, e, più di recente, l’introduzione del lavoro svolto da casa attraverso la rete. Ma ovviamente sono ancora pochissimi i paesi ad alto reddito globale che stanno sperimentando questo tipo di possibilità.

Infine, tra le proposte non sono trascurate quelle che potrebbero di riflesso incidere sulle emissioni che danneggiano il clima, delle tasse sulle risorse e quelle sul carbonio, che potrebbero disincentivare le scelte industriali e governative ecologicamente dannose, anche se mancano di quel carattere di urgenza e di rischio di punti di non ritorno che purtroppo dovrebbero ormai caratterizzare ogni scelta che riguardi la drammatica crisi climatica che stanno attraversando tutti i popoli del pianeta. In particolare infatti il volume (pag.103), tra le proposte della decrescita include il divieto di fare pubblicità ai combustibili fossili, l’eliminazione graduale della loro produzione, con una giusta transizione per i lavoratori delle industrie del settore, la moratoria sullo sfruttamento dei nuovi giacimenti, l’introduzione di tasse di chi usa di frequente gli aerei, l’embargo all’espansione delle reti stradali e degli aeroporti, politiche per le città senza auto, l’introduzione di standard rigorosi per le emissioni di delle auto e delle centrali elettriche, l’adozione di standard per le case passive e gli immobili in affitto.

Le ultime pagine del volume fanno capire che gli autori sono ben coscienti delle difficoltà che le loro proposte possono incontrare e nel quinto capitolo cercano di far emergere come e da chi possono essere attivate le trasformazioni orientate alla decrescita.

“E ancora: “Confidiamo nelle cooperative, nelle eco-comunità e in altri accordi, che non equivalgono a uscire dal sistema, ma sono pratiche mirate e orizzonti politici orientati verso un cambiamento più ampio.” (pag.106).

“La nostra quindi è una strategia coevolutiva che comprende l’azione e l’innovazione personale, comunitaria e politica”.

Gli autori poi fanno notare che “in confronto all’accelerazione del collasso climatico, delle diseguaglianze e dell’autoritarismo, il ritmo del cambiamento culturale qui proposto può sembrare eccessivamente lento” e citano il caso di Greta come esempio di piccola iniziativa che poi ha dato risultati di massa come i Fridays For Future. Inoltre evidenziano il fatto che oggi muoversi in bicicletta, impegnarsi in economie di condivisione e mangiare vegetariano sono diventati concetti diffusi. Fanno però anche notare che “chi supporta le nostre scelte pioneristiche spesso ritiene che siano compatibili con la crescita economica”. (pag.111). Inoltre “in tempi di crisi economica, quando la crescita vacilla, gli attacchi alle visioni di decrescita e gli appelli per un ritorno alla normalità della crescita spesso diventano più aggressivi”. Concetti ripresi anche a pag. 114, mentre nelle pagine successive vengono elencate tutte le situazioni, le esperienze e i conflitti nei quali vengono perseguiti obiettivi ben diversi da quelli che ispirano i sistemi economici ancora largamente dominanti. Gli autori alla fine fanno una affermazione molto chiara:

“Il ragionamento più immediato per la decrescita che cerchiamo di comunicare in questo libro è che una vita modesta basata sulla cooperazione e sulla condivisione è desiderabile in sé e per sé. Il progetto della decrescita non riguarda il martirio della rinuncia o della limitazione del potenziale umano. Si tratta di riorientare le socio-economie per sostenere la costruzione collaborativa e creativa di una vita che sia piacevole, sana, soddisfacente e sostenibile per più persone e più luoghi”.

Il libro si conclude con una serie di piccoli testi che sono le risposte alle “Domande più frequenti”, alcuni dei quali sono di particolare utilità.

Dopo aver letto più volte il testo, provo a formulare una mia valutazione complessiva, in modo che molti altri lettori e attivisti siano spinti alla lettura e alla utilizzazione specie in campo formativo. Sono stato particolarmente colpito dalla parte del volume dedicata ai possibili interventi, dove si descrivevano azioni possibili, senza però precisare mai “chi” erano i potenziali soggetti sociali responsabili, “quali le modalità operative” e soprattutto “quali effetti o risultati” avrebbero dovuto ottenere. Oggetto di queste azioni erano sempre aspetti essenziali delle economie di tipo capitalistico, che da almeno 150 anni si sono dimostrate sempre più dure e rigide e in continuo peggioramento, con aspetti esterni coperti continuamente da menzogne, pubblicità e narrazioni sempre più false. La difesa a oltranza delle energie fossili, la negazione continua della crisi climatica, l’emarginazione crescente della popolazione mondiale, il continuo prevalere di conflitti tra Stati e al loro interno, non sono stati finora intaccati in alcun modo ed elencare azioni come fossero facilmente attuabili rischia di aggravare ulteriormente la situazione. L’altro aspetto del libro che mi ha colpito è stato l’uso del termine “decrescita” come se si trattasse di una procedura facilmente attuabile e non una visione radicalmente alternativa, che dovrebbe al più presto sostituirsi al sistema economico dominante se vogliamo realmente salvare il pianeta. Ovviamente non sto dicendo che la sostituzione sia facile, in questo senso perfino il titolo del libro è errato, poiché sembra alludere ad una realtà già esistente, mentre è ovvio che si tratta di una ipotesi di alternativa (che però i tempi sempre più ristretti della catastrofe climatica rendono in qualche modo più realistica).