Gloria Germani: “L’ambientalismo riscopra la comunione con la Natura, come insegnava Terzani”

Nel suo ultimo libro Verità della decrescita, l’ecofilosofa critica con forza il modello di economia dello sviluppo occidentale, inclusa l’industria del desiderio, della pubblicità e dei media, in quanto alimentano bisogni inutili e provocano il collasso ambientale. Per cambiare direzione, sostiene, occorre riprendere la scia delle culture orientali fondate sulla comunione tra mente e materia

di Elisabetta Ambrosi | 17 LUGLIO 2021

“Nel suo ultimo libro Tiziano Terzani ha parlato espressamente di cambiamento climatico. Lui la strada contro la crisi l’aveva già indicata: tornare a una vita semplice, a comunità che lavorano, lontane sia dal fallimento delle società comuniste asiatiche, che dal capitalismo che non porta né felicità né benessere”. Gloria Germani, scrittrice, ecofilosofa, è anche la maggiore esperta del pensiero di Tiziano Terzani. Ha appena scritto per Castelvecchi il saggio Verità della decrescita, dove sferra un duro attacco alla filosofia ma anche alla scienza occidentale meccanicistica, che ci portano a pensare che mente e mondo materiale siano due cose separate, “mentre tutto è energia, come ci insegna la fisica quantistica”. Nel libro critica anche con forza l’industria del desiderio, dalla televisione, alla pubblicità, al sistema mediatico che alimenta bisogni inutili e quella crescita economica infinita che è direttamente alla base del collasso ambientale.

Perché, secondo lei, al contrario della cultura indiana, la filosofia occidentale è direttamente legata alla distruzione del pianeta?

La cultura indiana, come quella cinese e altre cultura aborigene, rimangono delle culture molto vicine alla Natura e ai suoi ritmi. Al contrario, è proprio a causa del pensiero moderno, da Cartesio, a Newton a Bacone, che abbiamo cominciato a pensare il mondo in maniera dualistica: da una parte il soggetto, la coscienza, la mente, dall’altra, staccata, la materia e il corpo staccati ed esterni. Una concezione che a partire da Einstein e Heisenberg, ma penso anche a Carlo Rovelli, è stata dichiarata del tutto fallace, perché tutto è interconnesso e interdipendente, come sostengono appunto le visioni del mondo orientali. Se vogliamo andare alle radici del cambiamento climatico dobbiamo dunque andare alle radici del pensiero moderno e dell’illuminismo.

Lei sostiene che non sarà la scienza a salvarci.

La scienza occidentale moderna resta un modo di vedere le cose riduzionistico, specialistico, materialistico dal momento che individua alcuni nessi di causa effetto – su miliardi di relazioni – e su quei pochi nessi fonda la tecnologia su cui poi si basa l’industria. Ma si tratta solo di un punto di vista limitato. La scienza climatica, per esempio, ha ragione nel dire che stiamo andando a sbattere contro i limiti dell’ecosfera e stiamo provocando un collasso climatico di dimensioni enormi (pensiamo a quello che è accaduto nei giorni passati in Germania). Eppure è la visione specialistica della scienza che ha prodotto la modernità occidentale con tutte le sue tecnologie e industrie. Da quando è apparso l’homo sapiens sono passati circa 250 mila anni e si sono alternate 5 mila diverse civiltà, ma nessuna di esse ha distrutto il pianeta come invece sta facendo quella moderna occidentale nata circa 200 anni fa. Dobbiamo mettere a fuoco questa diversa prospettiva, non possiamo rimanere intrappolati nell’ingenuo mito del progresso.

Non si rischia tuttavia di alimentare un atteggiamento antiscientifico?

Oggi la scienza sta compiendo grandi rivoluzioni, penso all’epigenetica, all’entanglement, alla scienza dei sistemi complessi. La vera realtà non è nella materia esterna, ma nelle relazioni. Bisogna invece distinguere queste nuove correnti dalla scienza meccanicistica e riduzionistica. Essa ha prodotto per esempio la chimica o l’economia moderna e sta alla base dell’industria moderna e alle tecnologie che trasformano interi sistemi complessi viventi, in materia inerte da manipolare. Il tragico attacco alla natura è una conseguenza dell’errata separazione tra mente e materia, nata solo 200 anni fa (la mente è solo umana, tutto il resto è materia manipolabile).

Nel libro avanza una critica al cristianesimo come concausa della crisi ambientale.

Come ho scritto nel libro, ritengo che, a differenza delle religioni orientali nelle quali il divino si può manifestare nella scimmia come nel fiume, nella religione cristiana ci sia una base antropocentrica forte. Dio dice all’uomo che dominerà la Terra e il Creato. Quindi, anche se la scienza ha combattuto a lungo contro la Chiesa, scienza e cristianesimo hanno moltissimi punti in comune. È vero che papa Francesco, nell’enciclica Laudato Si’, ha sposato la causa della natura, ma la Chiesa cristiana mantiene un atteggiamento sostanzialmente antropocentrico come quello della scienza e crede nel tempo lineare che punta al progresso. Se, come ha fatto Terzani, si vive in altri orizzonti culturali – buddista, induista, taoista – ci si rende conto che la vita e la natura hanno una dimensione sacrale, il tempo è ciclico, dove, di nuovo, il mondo non è un materiale da manipolare e dove la conoscenza non è solo quella logica linguistica. Oltre il linguaggio c’è una dimensione diversa e farne esperienza ci può portare verso stadi di estrema pace e di beatitudine

Gran parte del mondo ambientalista però esclude qualsiasi riferimento religioso.

Io distinguerei, sulla scia del grande filosofo norvegese Arne Naess, l’ecologia superficiale da quella profonda. Non possiamo parlare di ambiente esterno quando siamo fatti della stessa energia di una stella, una pietra, di un fiore. Al contrario la maggior parte delle ambientalisti rimane ancorato al pensiero dualista tra mente e materia. Non vorrei sembrare provocatoria, ma erano più ambientalisti gli indiani d’America quando parlavano della sacralità delle foreste e dei fiumi, oppure lo sono più gli indù che venerano anche il Tempio dei ratti.

E cosa pensa del concetto di Antropocene?

Mi sembra un termine ambivalente. Da una parte spiega correttamente che siamo nell’epoca in cui l’uomo distrugge la Terra, dall’altra chi ne parla mette questa epoca di seguito a quella del ferro, del bronzo ecc., come se fosse inevitabile. Io credo tuttavia che siamo ancora in tempo per capire che a un certo punto abbiamo imboccato una strada sbagliata. E poi, come ha mostrato tra gli altri l’ecologista Helena Norberg-Hodge, l’uomo non è fondamentalmente aggressivo, avido ed egoista, come ci hanno insegnato Hobbes o Freud; al contrario, l’uomo è buono se riceve relazioni affettive valide e se cresce con basi culturali buone. Ad esempio al centro dell’induismo e del buddismo c’è proprio il concetto di non violenza, che è una conseguenza inevitabile del non dualismo.

Un altro aspetto che lei solleva è la questione dei desideri indotti, specie dalla pubblicità.

Bisogna capire il fatto che per vendere dei prodotti, bisogna prima vendere dei desideri. Creare un bisogno che prima non c’era, questo è il ruolo del marketing. La pubblicità solidifica e dà potere all’ego, alimentando l’invidia e l’ingordigia in un processo di continua insoddisfazione. Il meccanismo di creazione del desiderio della pubblicità moderna è un processo automatico di infelicità. Tutto il contrario di quanto dice, ad esempio il buddismo, secondo cui si può uscire dalla sofferenza connaturale alla vita accettando l’impermanenza dell’ego e abbandonando la rincorsa dei desideri. Solo così possiamo aprirci agli altri e vivere una vita più semplice e giusta.

Questa riflessione è tanto più fondamentale quando ci si rivolge ai bambini?

Sì, purtroppo oggi le materie scolastiche si insegnano in maniera nozionistica, come se tutto fosse scollegato. E poi i bambini sono i primi a essere messi sotto scacco dalla tecnologia e da una civiltà consumistica che mette loro in mano i device elettronici fin da piccolissimi. Abbiamo una fede così forte nel progresso trainato dalla scienza che non capiamo che i ragazzi stanno male, che non gli stiamo trasmettendo alcun senso della vita e del suo significato. Anche l’ecologia viene insegnata male, in maniera punitiva, creando ansia.

E qual è la soluzione, magari riprendendo il pensiero di Terzani?

Terzani muore nel 2004, ma già si chiedeva quale sarebbe stato l’effetto catastrofico dell’aumento della temperatura di due o tre gradi sull’equilibrio del mondo, quello che fa sì che gli uccelli cantino o le api producano il miele e al contempo impollinino gli alberi da frutto. D’altronde, lui è arrivato in Asia nel 1971 quando l’agricoltura tradizionale era diffusissima – un tempo se ne occupava il 95% della popolazione, oggi il 2% – e ha visto gli effetti del progresso e della cultura industriale che viaggia a tempi velocissimi, sostituendo la materia organica vivente con materie inerte, usando il petrolio che oggi ci troviamo disperatamente a combattere, mentre il tempo si riduce sempre di più. Ma la soluzione per lui era una: ritornare alla Natura, la grande maestra. Una natura nella quale non esiste alcuna distinzione tra mente e materia.