Intervista di  a Gloria Germani, pubblicata su pressenza.com. Foto di Luca Zara.

Il collasso climatico è parte di uno sconvolgimento ambientale e sociale molto più ampio, che ci impone di riflettere sui valori e sulla direzione intrapresa dalla nostra civiltà industriale occidentale. L’ecodharma è una combinazione della cura per le questioni ecologiche (eco) con gli insegnamenti del buddhismo e delle tradizioni spirituali connesse (dharma). La crisi ecologica è anche una crisi spirituale collettiva, e un potenziale punto di svolta nella nostra storia. Abbiamo bisogno di vedere il mondo con altri occhi e l’ecologia buddhista può aiutarci a dare nuovi base epistemologiche e filosofiche per abbandonare i presupposti della crisi ecologica dovuta alla società industriale: riduzionismo, capitalismo e globalizzazione. Ne parliamo con Gloria Germani, ecofilosofa impegnata da sempre nel dialogo tra Occidente e Oriente. È stata allieva del filosofo Serge Latouche, dell’ecologista svedese Helena Norberg Hodge e di Tiziano Terzani, del cui pensiero è tra le massime esperte. È attiva nei movimenti deep ecology, nella Rete per l’Ecologia Profonda e nell’Associazione per la Decrescita. Dagli anni 2000 si interessa vivamente al campo dell’educazione, frequentando come genitore e attivista per 7 anni le scuole steineriane e dal 2017 è funzionario coordinatore del Progetto Alice Universal Education School per un’educazione non-dualistica, ecocentrica ed olistica.

Il buddhismo ha sviluppato una visione ecologica o è la visione ecologica che è la struttura del buddhismo? Si può parlare di buddhismo ecologista o di ecologia buddhista?

Io direi che in generale il continente asiatico da millenni ha pensato in termini sostanzialmente ecologici, con una logica della “casa”: di relazioni, tutte insieme. Non ci sono contrapposizioni tra umano e non umano, tra uomo e Natura, tra uomo e minerali oppure energie cosmiche. Anche solo viaggiando in Asia, personalmente ho capito che tutte queste cose (per noi occidentali distinte e separate) sono sentite meravigliosamente come un Tutt’Uno. Quindi direi che la visione ecologica è la struttura del buddhismo, ma anche dell’induismo, del giainismo ed ovviamente del Taoismo. Come sapete, Buddhismo e Giainismo costituiscono due riforme dell’induismo avvenute almeno 2.600 anni fa. In Occidente siamo abituati a pensare in “termini di religioni”, ma sono piuttosto delle visioni del mondo. Il Buddhismo in particolare è una “religione atea”1 molto adatta ai nostri tempi ed amata dal pubblico occidentale. Parlare dunque di ecologia buddhista è estremamente utile e fecondo in questi anni in cui – come dimostra la Cop27 – il pensiero dominante non riesce a capire e a risolvere l’enorme problema del collasso climatico.

Anattā (qualità insostanziale), anicca (qualità impermanente), paticcasamuppāda (interdipendenza universale) sono forse i tre concetti principali dell’ecologia buddhista che per il Buddhismo caratterizzano ogni aspetto e livello della realtà. Che cosa significano esattamente? 

Assolutamente Anatta, Anicca e paticcasamuppada (in pali) sono i tre concetti fondamentali della visione del mondo buddhista. Sono idee chiave espresse dal Buddha quando finalmente giunse a comprendere la vera essenza del reale. Caratterizzano, come giustamente hai puntualizzato nella domanda, ogni aspetto della realtà. Ho visto alcuni recenti interpreti occidentali ridurne la portata asserendo che i precetti buddisti riguardano la cura della sofferenza, ma è del tutto fuorviante. Il termine pali anatta significa che ogni cosa o realtà è senza sé, non sostanziale, né autonoma, né autosufficiente. Ogni essere dipende da infinti altri. Anicca in pali (anitya in sanscrito) significa che nessuna cosa, nessuna realtà è permanente. Ogni realtà, compreso il nostro io, è transitoria, non permane, ma piuttosto sorge, sviluppa e decade, per risorgere in altra forma; ogni essere senziente o non senziente nasce, cresce e poi muore per rinascer di nuovo. Tutto ciò è condensato anche nella legge fondamentale del buddismo: paticcasamuppada. Ogni realtà è dipendente da altri, è condizionata e a sua volta condiziona, viene ad essere in maniera interdipendente. Ciò significa – per quanto vertiginoso possa sembrare – che nessuna realtà può essere spiegata né riferendosi a se stessa, né riferendosi a qualcos’altro e neppure ad un rapporto tra i due gruppi di riferimento. Cosa significa dunque questa visione buddhista? È importante chiarire che significa esattamente il contrario di quello che il pensiero occidentale ha sempre seguito. Aristotele infatti scrive: «È impossibile supporre che la stessa cosa sia e non sia, come certuni credono che sostenga Eraclito e i naturalisti[…]. Questo è il più saldo di tutti i princìpi, anche se non è possibile darne dimostrazione»2. Supporre che la stessa cosa sia e non sia è impossibile perché – sostiene Aristotele – «coloro che ragionano in questo modo, sopprimono la sostanza»3. Il pensiero occidentale da allora in poi ha seguito il principio di non contraddizione e del terzo escluso (che sarà alla base della scienza moderna) nella fede che l’apparato logico-linguistico dell’uomo possa cogliere -afferrare il reale. Eraclito diceva: “Non ti bagnerai mai due volte nello stesso fiume” perché quell’acqua che chiamiamo convenzionalmente Tevere, è una realtà impermanente fatta di infiniti eventi che non possiamo nominare veramente. Il pensiero orientale non ha mai creduto che la struttura logico linguistica dell’uomo potesse davvero cogliere la realtà ed è per questo che il fine ultimo di queste culture è di raggiungere uno stato di non-mente in cui esperire l’essere Uno che tutto comprende. Cercare la gioia nel desiderio di possedere le cose – come se fossero sostanze, cose fisse, afferrabili – è considerata dal Buddha la radice ultima del dolore (Seconda Nobile Verità). Oggi il Buddismo dovrebbe avere il coraggio di condannare tutta la cultura industriale, basata oltretutto sulla pubblicità, partendo da queste precise premesse.

Ogni punto non risulta da un segno isolato, ma da un incrocio di linee” è un esempio di anatta, la qualità insostanziale, ma indica anche l’interconnessione di tutto. L’ecologia buddhista è l’antenata della teoria quantistica?

Assolutamente sì. La filosofia buddhista è antenata della fisica quantistica e di molte altre branchie della scienza contemporanea che stanno riscoprendo le stesse cose nel ramo della biologia, delle neuroscienze, della psicologia etc. A mio avviso è impossibile ignorare questa realtà messa in luce già dal 1975 da Fritjof Capra con il suo bellissimo Il Tao della Fisica. Infatti la fisica già con Einstein ha capito che la materia in sé non esiste ma dal 1927 ha scopeto anche che “A” e “non-A” possono coesistere. Una non-particella può avere e non avere una data proprietà contemporaneamente, è particella e onda contemporaneamente. Il problema è che tali scoperte sono state silenziate e nascoste dal mainstream perché la nostra civiltà ha bisogno di una materia inerte esterna da manipolare attraverso l’industria. In altre parole se le verità della fisica quantistica e del buddhismo fossero davvero riconosciute, tutto il nostro sistema di vita (e il nostro progresso) verrebbe a cadere. Stessa cosa vale per l’ecologia. Già G.Snyder nel 1969 aveva messo in luce l’importanza fondamentale della visione buddista e così pure B.Deval e G.Sesssion che ne avevano parlato in Ecologia Profonda. Vivere come se la natura fosse importante (1985). Il Termine Deep Ecology è stato diffuso soprattutto da A. Naess per puntualizzare l’impermanenza e l’interconnessione dell’Ecosfera di cui l’uomo è una piccolissima parte e non il signore e padrone. Se avessimo seguito queste scoperte, il collasso climatico sarebbe stato arginato da un pezzo – perché sarebbe stata frenata l’industrializzazione prima che diventasse globale invece di arrivare, senza soluzioni, alla Cop 27.

L’ecologia buddhista e il buddhismo non parlano dunque solo di spiritualità e filosofia, ma tracciano anche un’epistemologia della scienza?

Questo è un punto molto importante e ti ringrazio della domanda. Oggi siamo immersi in un tipo di pensiero di cui siamo poco o niente affatto consapevoli. Come tutti sanno, c’è stata un’aspra lotta tra Scienza e Cristianesimo, iniziata con Galileo nel 1600, ma poi si è addivenuti ad un accordo. La verità sul mondo è stata riconosciuta come appannaggio della Scienza, mentre al cristianesimo è stata riconosciuta la pertinenza su un eventuale verità dell’anima. Via, via che venivano scoperte le altre religioni, erano inserite nello stesso schema; accettate come eventuali vie dello spirito, accanto alla superiore e laica verità scientifica. Io sostengo che questa impostazione è del tutto errata. Il buddhismo, come l’Induismo o il Taoismo, sono visioni diverse della realtà e della conoscenza. Pertanto costituiscono delle potenti sfide epistemologiche, filosofiche ed anche esistenziali alla visione scientifica imperante – che è strettamente materialistica e riduzionistica – su cui poggia l’industria. Sarebbe un eccezionale passo in avanti ammettere che sono delle sfide epistemologiche, dal momento che ancora oggi tanto l’università che i media si ostinano a relegarle a mere fedi personali e non conoscenza “scientifiche”.

Il professor Davide Loy ha scritto che c’è la necessità di pensare percorsi di ecosattva, facendo riferimento al bodhisattva. Cosa si intende?

Loy è un autore e docente americano fondatore di un importante centro buddista. Come ha detto Chomsky, siamo di fronte alla crisi più pericolosa che l’umanità ha affrontato (la crisi ecologica) e Loy fa appello al sentiero buddista. Il Boddisattva è colui che pur avendo raggiunto lo stato di illuminazione, si impegna perché tutti gli altri esseri siano ugualmente salvati, cioè raggiungano anch’essi uno stato illuminato della mente (bodhi- sattva). Ovviamente diventare Bodhisattva è sempre stato l’obiettivo più ambito, ma oggi – sottolinea Loy- occorre finalizzarsi ad essere Ecosattva cioè impegnarsi per la salvezza ecologica, diventando ecoattivisti. E questo si realizza attraverso tre punti: la pratica nella Natura, l’esplorazione delle ricadute ecologiche degli insegnamenti buddhisti, la realizzazione di questa comprensione nell’ecoattivismo. Personalmente sto cercando di andare un po’ oltre. Come mi incoraggiò quattro anni fa una nota maestra buddhista, la venerabile Robina Courtin, cerco di far comprendere come la visione ecologica profonda sia la vera essenza del pensiero orientale e del buddismo. Se rigorosamente intesa, essa è di per sé la negazione dell’industrializzazione e della scienza moderna che ne sta alla base. Un’impresa un po’ ardua, ma mi pare stimolante.

Credi che sia possibile un incontro tra Occidente e Oriente? L’Occidente è in grado di spogliarsi della sua forma mentis generatrice di gerarchie tra cui la società industriale? 

Tutto è possibile, sempre. Io mi auguro che questo incontro avvenga perché rappresenta, a mio avviso, l’unica via d’uscita per le nostre moltissime crisi, prima tra tutte quella climatica. La forma mentis occidentale è dualista (nasce dalla separazione tra mente e materia, tra ego e mondo) e per questo è essenzialmente violenta. Il mondo esterno va posseduto con la mente e modificato a vantaggio dell’uomo. Questo era un tratto da sempre presente ma è stato esaltato a partire da Cartesio, Newton, Bacone, Hobbes. ne ho parlato in dettaglio nel mio libro Verità della Decrescita. Via dalla scienza totalitaria per salvare il mondo. Questa gerarchia che pone l’Ego umano al vertice non è più sostenibile e va abbandonata. La civiltà orientale è molto più olistica, femminile, accogliente. E credo che possiamo imparare tantissimo ispirandoci alla sua radicale diversità.

Oggi più che mai serve un postcolonialismo decolonizzante in tutte le sue forme che arrivi anche a decolonizzare il concetto di scienza? 

Come ha affermato recentemente il più grande scrittore indiano, Amitav Ghosh, le nostre tante crisi nascono dalla colonizzazione. Questo fenomeno, per cui l’uomo occidentale, si è accaparrato le ricchezze di altri continenti – è però passato come un processo di acculturazione, di progresso, il “fardello dell’Uomo bianco”, un dovere impegnativo per cambiare altri popoli che erano visti come “primitivi” ma di fatto erano estremamente ecologici. Oggi è assolutamente necessario un processo di decolonizzazione soprattutto culturale. Serge Latouche – il maggiore teorico della Decrescita – parla della decolonizzazione dell’immaginario per uscire dalla dittatura della Crescita Economica che guida ormai tutti i governi senza distinzioni. Nel mio libro faccio un passo in più. Cerco di decolonizzare il concetto stesso di Scienza Moderna Occidentale perché è attraverso di esso che la superiorità dell’Occidente si è potuta imporre sugli altri popoli. Alla base della colonizzazione storica e della globalizzazione attuale, c’è infatti il medesimo meccanismo: l’imposizione che civiltà occidentale dell’Industriale della Tecnica sia superiore – per quanto oggi sappiamo che sta portando la Terra al collasso. Questa imposizione si realizza attraverso i media e la colonizzazione della mente. Ed è questo aspetto che dobbiamo analizzare e combattere.

 

NOTE:
1. “religione atea” perché il buddhismo, come il giainismo, non hanno un Dio. Buddha è un uomo che si è realizzato così come Mahavira, il grande eroe. L’induismo ha tre Dei principali (Brahmān, Viṣṇu, Śhiva), ma riconosce 3 milioni di Dei (tra cui topi e mucche) e alla fine Dio, Brahman, è dentro di noi. Molto diverso dalle religioni abramitiche che hanno un Dio assoluto che ha creato il mondo.
2. Aristotele, Metafisica, IV, 4, 1005 b 10 sg
3. Aristotele, Metafisica, IV, 4, 1005 b 35 sgg e 1007 a 20 Laterza, Bari, 1979. Cfr. a proposito del “principio del Terzo Escluso”, Metafisica, IV, 3, 1011 b 25 – 1012 a 25.