Del Gruppo Comunicazione.

Sulla resistenza (violenta) Palestinese al colonialismo (violento) Israeliano, supportato dal nostro governo

L’Associazione per la decrescita esprime profondo dolore e preoccupazione per quanto sta accadendo in Medio Oriente e si associa ai numerosi appelli per un immediato “cessate il fuoco”, come primo passo minimo necessario perché la pace possa finalmente realizzarsi in una terra da troppi anni segnata da sofferenze, violenze e sopraffazioni.

Insieme a tanti altri movimenti per la pace e per la giustizia, anche noi  condanniamo nettamente gli attacchi terroristici perpetrati da Hamas contro civili indifesi, ma altrettanto nettamente condanniamo la reazione indiscriminata del governo israeliano contro i 2,3 milioni di civili palestinesi intrappolati in quella vera e propria prigione a cielo aperto che è la Striscia di Gaza. La storia ci insegna che dall’odio può nascere solo nuovo odio, dalla violenza solo altra violenza che vigliaccamente colpisce civili innocenti, donne e bambini ai quali va il nostro cordoglio e la nostra solidarietà. 

Facciamo dunque nostre con piena convinzione le richieste dell’appello della Rete Pace e Disarmo, a cui abbiamo aderito come Associazione e come membri della RIES: “La nostra condanna contro ogni forma di violenza, di aggressione e di rappresaglia contro la popolazione civile, sia palestinese, sia israeliana è assoluta. Hamas deve immediatamente rilasciare gli ostaggi e cessare le ostilità per il bene del popolo palestinese. Israele non deve reagire con la sua potenza militare contro la popolazione della Striscia di Gaza o usare metodi di rappresaglia come togliere cibo, luce, acqua ad una popolazione anch’essa ostaggio della violenza scatenata da Hamas, senza vie di fuga ed impossibilitata a proteggere le famiglie, i bambini e gli anziani”.

Come Associazione di impegno politico-culturale che si batte per “un mutamento di civiltà” fondato sulla nonviolenza, abbiamo sempre cercato di guardare al di là delle emergenze belliche che inesorabilmente si susseguono e di denunciare le ragioni profonde di tutte le guerre contro gli umani, contro gli altri esseri viventi e contro l’intero nostro pianeta. Nella decrescita come “cambio di rotta” (Laudato sì)  cogliamo una via di pace e riteniamo, con  Serge Latouche, che “nella società della crescita non ci saranno mai più pace e giustizia; al contrario, la via della decrescita rimetterebbe pace e giustizia al centro della società” (vedi anche il nostro articolo del maggio 2022: “Se vuoi la pace, prepara la decrescita”). Insomma per noi la decrescita è il nuovo nome della pace e richiede un disarmo ecologico (vedi qui la call for papers di un prossimo numero dei Quaderni della decrescita proprio su questo tema).

Come ha scritto Marco Deriu nel primo numero dei Quaderni, le ragioni delle guerre sono profonde: infatti, “nonostante una lunga catena di interventi militari (dall’Iraq all’Afghanistan) condotti in nome della libertà, della democrazia e della giustizia con risultati deleteri sul piano ambientale, sociale e politico, ancora si persevera a considerare il confronto bellico un’opzione razionale e realistica. Tale ostinazione non dipende solo dagli interessi economici e politici ma affonda in modelli di pensiero radicati nella cultura e nell’immaginario che inducono a considerare la guerra come un semplice mezzo e non come un processo travolgente e devastante da ogni lato. Mentre si devono contestare nel merito le pretese di chi spaccia per “realismo” la logica nichilistica delle armi, il lavoro difficile rimane oggi quello di “demilitarizzare il nostro immaginario” e prendersi cura della vulnerabilità reciproca”. Tutto questo  è in linea non solo col pensiero della nonviolenza, ma anche con una prassi che miri alla smilitarizzazione degli stati perché “la sola forma efficace di dissuasione (“deterrenza”) e di prevenzione della guerra è la proibizione dell’uso delle armi. Ogni Stato faccia il proprio passo, unilateralmente, per proprio conto e, assieme agli altri, cerchi di ricreare una autorità mondiale in grado di imporsi sui singoli Stati e di interporsi tra gli Stati belligeranti, come avrebbe dovuto essere l’Onu secondo la sua carta istitutiva” (dal documento “Guerra, nonviolenza e decrescita” presentato a Venezia 2022) .

Infatti, il pensiero della decrescita si sostanzia in una critica netta dello sviluppo occidentale e della sua logica di dominio tecnocratico e coloniale sui popoli, sulla natura e sui soggetti più vulnerabili che ha come esito finale la guerra, che è dunque “il portato logico, deliberato e strutturato di organizzazioni sociali che fondano la loro esistenza sulla predazione, sull’appropriazione, sullo sfruttamento, sulla colonizzazione dei più deboli” (sempre in “Guerra, nonviolenza e decrescita”). In questo contesto, il conflitto Israelo-palestinese può essere considerato come un caso di settler colonialism, ossia quel tipo di colonialismo in cui una forza coloniale invade e occupa un territorio indigeno, con il fine di assimilare o rimpiazzare la popolazione indigena (Salamanca et al. 2012; LLoyd 2012; Veracini 2013; Hughes 2020). 

In questo senso, la costruzione della pace richiede di mettere in luce le responsabilità storiche dello stato di Israele (1) e del regime di apartheid, colonizzazione e occupazione da esso imposto (2), grazie alla complicità degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea (UE) tramite partnership strategiche e del nostro stesso paese.

Ribadiamo quindi la richiesta al governo italiano di impegnarsi per l’immediato ‘cessate il fuoco’ e per il rispetto da parte di tutti (cominciando dai propri alleati) delle convenzioni internazionali sui diritti umani – senza che ciò giustifichi in alcun modo gli attacchi terroristici di Hamas, che condanniamo veementemente.

Come ci ricorda Jason Hickel, “la [lotta] per la libertà del popolo palestinese è una causa giusta. È una causa che il popolo di Israele dovrebbe sostenere. Mandela disse che i sudafricani non si sarebbero sentiti liberi finché i palestinesi non fossero stati liberi. Avrebbe potuto aggiungere che la loro liberazione avrebbe anche liberato il popolo di Israele”. Finchè ci sarà neocolonialismo nel mondo, perpetuato da stati occidentali, non ci sarà mai giustizia. E senza giustizia, non può esserci pace. 

L’impegno per la nonviolenza e per la pace in Palestina e in tutto il mondo ci vede pienamente coinvolti come Associazione per la decrescita: lavoriamo per una profonda rivoluzione culturale che tolga sempre più il terreno sotto i piedi alla follia della guerra.

NOTE

(1) Consigliamo, per comprendere meglio la dimensione storica di tale colonizzazione, di leggere il report di Francesca Albanese, Special Rapporteur sulla questione palestinese delle Nazioni Unite, in cui analizza, dal punto di vista legale, la situazione odierna e la sua evoluzione storica, e giunge alla conclusione che il governo di Israele è imputabile di crimini contro l’umanità e andrebbe giudicato dalla corte di giustizia internazionale.

(2)  come riconosciuto da Human Rights Watch, Amnesty International e dai relatori delle Nazioni Unite.

 

Immagine attribuita a Bansky