Pubblichiamo il testo di Dario Manni (Disobbedienza Animale) sui diritti animali, presentato al Forum della Convergenza dei Movimenti tenutosi a Roma il 25-27 febbraio u.s. Come scritto nell’appello per Venezia 2022, le lotte alle prevaricazioni e discriminazioni  speciste, insieme a quelle sessuali, generazionali e razziali, sono parte integrale del progetto di una democrazia della terra, ovvero una democrazia finalmente consapevole della complessa trama di relazioni che vincolano le comunità umane – la loro rigenerazione e il loro destino – ad una più ampia comunità vivente, al di là delle separazioni e scissioni attraverso cui siamo stati abituati a pensare.

 

Gli altri animali sono individui come noi e hanno diritto alla vita, alla libertà, all’autodeterminazione, alla socialità, ad avere cibo, riparo e cure, alla ricerca della felicità. Non abbiamo il diritto di usarli nei circhi e rinchiuderli negli zoo, di sfruttarli per la sperimentazione medica o di ucciderli per mangiare le loro carni e per vestirci delle loro pelli. Non c’è nessun criterio assoluto e nessun parametro neutrale in base al quale possiamo negare loro la maggior parte dei diritti che riconosciamo per noi stess3. C’è solo un pregiudizio, il pregiudizio specista, che discrimina in base alla specie di appartenenza: cioè ad una differenza fattuale ma secondaria e in ciò del tutto simile al pregiudizio sessista, al pregiudizio razzista e ad ogni altra, analoga forma di discriminazione.

Se quanto ho detto vi suona provocatorio, è perché vuole esserlo. Abbiamo voluto fortemente che lo fosse, che l’intera nostra presenza come antispecist3 in questo Forum fosse una provocazione intellettuale che portasse a nudo le fondamenta antropocentriche dell’edificio del Diritto. Queste fondamenta sono l’arcaica distinzione fra un “noi” e un “loro”, fra la “civile” polis greca, fondata sullo schiavismo e le popolazioni considerate barbariche, fra le mille tribù il cui nome significa, letteralmente, “gli uomini”, e tutt3 l3 altr3 considerat3 meno che uman3, animalizzat3. Queste fondamenta sono la dicotomia e la gerarchizzazione, la politica dell’essenza e della purezza contro quella della relazione e del meticciato, contro quella della somiglianza e della convergenza. Queste fondamenta sono il dominio dell’Altro con la “a” maiuscola, sono i diritti per qualcunoa e non per qualcun altroa. Quando parliamo di “macelleria sociale” o quando rivendichiamo il diritto di non essere trattat3 “come animali”, “come bestie”, infatti, stiamo implicitamente accettando l’ordine millenario in base al quale c’è sempre un “sopra” e un “sotto”. Stiamo semplicemente spingendo e sgomitando per raggiungere anche noi un posto al sole, dimenticandoci di chi resta indietro, nell’ombra, fra miliardi di altri volti grigi, sofferenti, dimenticati. Miliardi che una volta erano, e che nella maggior parte dei casi sono ancora, le persone ridotte in povertà, le persone straniere, le donne e le persone lgbtqi+, le diversamente abili, le minoranze etniche, politiche e religiose. Miliardi che hanno anche il volto dell’altro animale. Senza una prospettiva radicale che guardi ai meccanismi sui quali si fonda l’edificio dell’ingiustizia, non saremo in grado di abbatterlo, ma potremo al massimo aggiungere qualche piano più confortevole e qualche stanza di lusso pagata da chi rimarrà shiacciatoa e sepoltoa in basso. Una società che usa la condizione degli altri animali per rappresentare ciò che considera inaccettabile per se stessa e per i suoi membri privilegiati è una società che rischia costantemente di essere risucchiata da quel “sotto”, da quell’abisso che non ha mai riempito.

Il primo grande teorico dell’antispecismo, Peter Singer, che oggi è fra i filosofi più influenti al mondo, diceva che “La rivendicazione dell’eguaglianza non dipende dall’intelligenza, dalle capacità morali, dalla forza fisica o da simili altri dati di fatto. L’eguaglianza è un’idea morale, non un’asserzione di fatto”. Ovvero ripeteva l’argomento contro la fallacia naturalistica già espresso nel 1700 dal filosofo David Hume: cioè che solo perché una cosa è naturale non per questo è anche morale, che il fatto non è valore, che “nero” non significa di per sé “brutto” o “cattivo” o “sporco”, e che non è né meglio né peggio di “bianco”. Che l’altro animale, aggiungeva Singer, non ci è inferiore semplicemente perché fisicamente o psichicamente diverso. “L’elemento fondamentale”, continuava Singer, “– il tener conto degli interessi dell’essere, di qualunque genere siano – deve, in base al principio di eguaglianza, venire esteso a tutti gli esseri, neri o bianchi, disesso maschile o femminile, umani o non umani”. Ma come si determina chi è che ha interessi e chi è che non ne ha? “La capacità di provare dolore e piacere”, spiegava Singer, “è un prerequisito per avere interessi in assoluto”. Perciò gli altri animali, avendo la capacità di provare dolore e piacere, hanno interessi e, in base al principio di eguaglianza, devono essere considerati sotto il profilo morale e dei diritti. Se neghiamo loro questa considerazione, allora rigettiamo il principio di eguaglianza, rigettiamo lo stesso principio in base al quale rivendichiamo la parità di genere e l’antirazzismo.

E tuttavia, come dicevano Adorno e Horkheimer nel loro celebre “Dialettica dell’illuminismo”, “L’estraniazione degli uomini dagli oggetti dominati non è il solo prezzo pagato per il dominio: con la reificazione dello spirito sono stati stregati anche i rapporti interni fra gli uomini, anche quelli di ognuno con se stesso”. Con la riduzione degli altri animali a cose, insomma, con il progetto di controllo e dominio sull’alterità animale, è l’umanità stessa a perdere: perché rinnegando la sua animalità perde una sua parte. Con l’allontanamento degli altri animali da sé, con la sottovalutazione della loro senzienza, con la negazione della loro individualità, con il silenziamento del loro dolore, l’umanità dimentica le sue radici e perde la sua dimensione emozionale, perde la sua capacità di relazione, di empatia, di compassione e di amore. Le perde sia perché queste dimensioni non sono prettamente razionali, ma attengono a un sostrato pre-logico; sia perché, per sfruttare gli altri animali così come fa, l’umanità deve reprimere il sentimento quasi spontaneo di vicinanza e la spinta quasi naturale alla cura nei loro confronti che sono il grande rimosso dell’incultura specista.

La decisione dell’organizzazione del Forum e del gruppo di lavoro sui diritti sociali universali di includere i diritti animali fra questi ultimi è quindi un segnale forte, un segnale di apertura e rinnovamento di un campo tradizionalmente antropocentrico, ma anche tradizionalmente progressista. Un campo fatto di amore per la giustizia e l’uguaglianza, ispirato da valori rivoluzionari e quindi disposto a rivoluzionare lo stato di cose presenti. Che quest’assemblea si sforzi di rappresentare anche la prospettiva dei diritti animali nei tavoli che verranno ora aperti. Che si interroghi sul proprio antropocentrismo e cerchi di superarlo. Non c’è luogo migliore per farlo, non c’è momento più adatto, non ci sono persone più capaci.