Del Gruppo comunicazione dell’Associazione per la decrescita

Tanto arroganti quanto stupidi non si rendono nemmeno conto che i loro messaggi pubblicitari suscitano reazioni opposte a quelle da loro desiderate. È questo il caso di Eni che sta invadendo i giornali con paginate che dovrebbero dimostrare il suo impegno a favore dell’ambiente. A titolo di esempio descriviamo la pubblicità a piena pagina apparsa su “il manifesto” il 5 gennaio (vedi in calce all’articolo): una foto dall’alto di un vasto territorio tagliato in due da una autostrada; da un lato una bella area naturale boscata (in divisa autunnale), dall’altro una enorme distesa di grigi pannelli solari che ricopre un’area probabilmente ex agricola o forse persino appositamente disboscata. Insomma, un esempio eclatante di come anche le energie rinnovabili possono essere un modo per distruggere un habitat naturale e deturpare l’ambiente.

Dovrebbe essere noto anche all’Eni che il surriscaldamento globale è dovuto anche alla riduzione  delle aree verdi (boscate o correttamente coltivate). È risaputo che i principi attivi biologici della catena della vita sono “sotto i nostri piedi” (l’humus si forma e si accumula nel corso di milioni di anni) e che quindi il suolo è una risorsa preziosa, fragile e non rinnovabile che non dovrebbe più essere “consumata”, cementificata, asfaltata e nemmeno piastrellata. La Convenzione sulla biodiversità dell’Onu (recentemente tenutasi a Montreal e sottoscritta, ci pare, anche dal nostro governo) ha lanciato l’obiettivo “30×30”, che significa proteggere il 30% almeno della superficie terrestre. È noto persino al governo in carica (l’Eni è una azienda controllata dallo Stato) che sarebbe bene estendere le coltivazioni agricole per raggiungere la “sovranità alimentare” – a cui l’attuale governo ha anche intitolato un ministero.

Dovrebbe far parte della esperienza personale sensoriale di ognuno di noi il fatto che la contemplazione della bellezza di un paesaggio naturale e l’immersione vitale in esso generano benessere psicofisico.

Potremmo elencare molte altre ragioni ecologiche e sociali a favore delle aree lasciate alla libera determinazione dei cicli naturali. Bisognerebbe fare bene i conti dei bilanci energetici quando si fa un nuovo impianto: quante emissioni di CO2 fa risparmiare un pannello solare (cui vanno sottratte quelle necessarie per produrlo, installarlo e poi smaltirlo) e quanta CO2 può invece assorbire un albero (soluzioni nature-based)? Ma ciò che più ci fa arrabbiare è che la occupazione dei suoli liberi per impiantare pannelli solari non è affatto necessaria. A questo scopo potrebbero essere destinate le coperture degli edifici industriali e commerciali, delle infrastrutture, delle abitazioni.

In conclusione, segnaliamo che le autorità di vigilanza europee (in particolare l’ESMA, Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) stanno elaborando un quadro normativo per il controllo del greenwashing (vedi questo link), mentre in Olanda l’autorità per i mercati finanziari ha pubblicato un’agenda triennale per la regolamentazione del “ESG-washing”. Speriamo che queste normative diventino effettive ed efficaci anche in Italia!

 

ENI 5-1-23