a cura del GdL Agricoltura e salute

Di seguito trovate una breve sintesi del documento, che potete scaricare qui accanto e che è il frutto dell’elaborazione del gruppo di lavoro “agricoltura e salute”: il documento è ancora una bozza, che pubblichiamo per avere dai nostri soci commenti, suggerimenti e integrazioni.

  • L’agricoltura convenzionale, intensiva o industriale, figlia del capitalismo neoliberista, attraversa oggi una profonda crisi legata anzitutto alla sua insostenibilità ambientale, ponendo l’urgenza di una transizione verso un nuovo modello di agricoltura. La visione della decrescita può ispirare questo cambiamento in quanto le minacce che vengono alla fertilità della terra, impongono il ritorno a dei limiti precisi alla sua manipolazione, che ne preservino la capacità produttiva. 
  • Il limite fondamentale si pone nel flusso di energia sussidiaria, il flusso che comprende energia, materiali, attrezzature, lavorazioni e quant’altro viene immesso nell’agroecosistema per azione dell’uomo. Al crescere della componente tecnologica del flusso viene a corrispondere una diminuzione dell’efficienza del processo produttivo e un aumento degli scarti (gas serra e inquinanti vari), che possono impattare sui cicli biogeochimici, sulla biodiversità (dal livello suborganismico a quello peasaggistico), l’integrità del suolo e la qualità dei prodotti.
  • Il modello di agricoltura coerente con la visione della decrescita è l’agroecologia. L’agroecologia ha una visione olistica dell’agroecosistema e dell’azienda agraria, considerate entità integrate, sorta di organismi viventi. Mentre l’agricoltura industriale è dissipativa, rigidamente produttivista e orientata al profitto, l’agroecologia è conservativa, resiliente e indirizzata al bene comune. Mentre l’agricoltura industriale è fonte di disservizi (emissione di inquinanti, depauperamento della sostanza organica del terreno, distruzione di biodiversità), l’agroecologia garantisce molti di quei servizi ecologici di approvvigionamento, di  regolazione, di supporto e di cultura propri degli ecosistemi naturali. 
  • Va confutata la credenza che un’agricoltura ecologica sia incapace di soddisfare i fabbisogni alimentari dell’umanità, non potendo garantire le rese produttive dell’agricoltura industriale. Ciò può anche avvenire, ma solo laddove non siano rispetta la vocazionalità dei luoghi e precisi criteri agronomici. Non va poi dimenticato che, ancora oggi, il 70% della popolazione mondiale è nutrita dalle agricolture contadine, che un terzo del cibo va sprecato lungo la filiera dal campo alla tavola e che un altro sperpero indiretto viene dalla produzione di alimenti ad uso zootecnico e biomasse ad uso energetico.   
  • Ai criteri agroecologici e, indirettamente, alla decrescita, si riconducono oggi diverse forme di agricoltura, specificatamente le agricolture contadine delle aree rurali povere del mondo e le agricolture di tipo organico dei paesi ricchi dell’occidente, tra cui la più diffusa e nota è la biologica. La sua forte espansione la sta per altro spingendo oltre i confini originari delle piccole aziende familiari, delle filiere corte, dei negozi specializzati, offrendola all’agroindustria e alla grande distribuzione e smorzando la spinta etica iniziale in favore di un pragmatismo utilitarista. Si pone dunque la necessità di discernere tra un bio conforme alle logiche dell’agroeocologia (e della decrescita) e un bio che invece ha smarrito questo riferimento. 
  • Essendo la terra l’incrocio tra agricoltura e decrescita, non si può ignorare la questione dell’accesso alla terra e della sua destinazione d’uso. Occorre anzitutto restituire alle comunità locali i diritti sulle terre, quale espressione di giustizia e requisito di sostenibilità, contrastando le grandi proprietà terriere e il land grabbing.  
    Circa la destinazione d’uso, la problematica riguarda le terre arabili, oggi contese tra produzione di alimenti per l’uomo, per gli animali e per gli agro-carburanti. Nella logica della decrescita, la priorità spetta alla produzione di cibo per l’uomo. La produzione di alimenti per il bestiame deve essere la minima indispensabile a garantire il mantenimento di un allevamento funzionale alle rotazioni e alla conservazione della fertilità dei suoli. La produzione di agrocarburanti, invece, va del tutto bandita.
  • La decrescita è essenziale anche per evitare la perdita del senso autentico e profondo del “coltivare”, del “servire” secondo il significato letterale del lemma ebraico abad. Un’agricoltura di decrescita serve all’uomo per ritrovare la strada della terra, impone e garantisce identità, ossia una diversificazione dei modelli produttivi calibrata sulle condizioni pedoclimatiche, sociali e culturali dei luoghi, il che significa dare spazio alle produzioni tradizionali, conservare razze, varietà ed ecotipi autoctoni, valorizzare le conoscenze e le tecniche agronomiche locali, guardare al cibo come elemento storico-culturale-sociale.
  • Il sostegno ad un’agricoltura di decrescita passa anche attraverso le scelte dei consumatori. Si tratta di:
    • ridurre al minimo il consumo di prodotti di origine animale;
    • consumare preferibilmente i prodotti del territorio, freschi e di stagione;
    • prediligere alimenti biologici e con bassa impronta ecologica;
    • rifornirsi direttamente dai produttori o tramite GAS (Gruppi di acquisto solidale), evitando, soprattutto, la grande distribuzione;
    • unirsi a progetti di produzione condivisa, come le CSA (Comunità che Supportano l’Agricoltura), in grado di fornire redistribuzione garantendo accesso a cibo sano e locale a prescindere dal censo e a gruppi di certificazione partecipata.