PRIMA PARTE –

          1. Monete alternative e Reti di Scambio e Credito Comunitario.

L’analisi delle relazioni che si possono stabilire tra alcuni tipi di monete alternative,  le economie indirizzate alla cura dei beni comuni (cioè le economie pubbliche, solidali ed ecologiche), e gli organi di governo politico, specialmente locali, costituisce l’oggetto principale di questo testo in quanto si ritiene che solo un’analisi approfondita di tali relazioni, del loro carattere molto problematico ma anche delle loro enormi possibilità di sviluppo, ci consentiranno di affrontare alle radici le crisi economiche e socio ambientali del nostro tempo. La crisi sta colpendo il sistema della crescita globale nel suo insieme, e sul piano economico colpisce specialmente i paesi più sviluppati, ma interessa in misura particolare il nostro paese. Proprio per quanto riguarda infatti la questione dello sviluppo di nuove forme di valorizzazione e di finanziamento delle economie pubbliche, solidali ed ecologiche, l’Italia si trova in condizioni di gravi difficoltà strutturali, ma presenta appunto anche grandissime potenzialità di cambiamento sostenibile, in larga parte ancora sostanzialmente inespresse.

Bisogna partire prima di tutto dal fatto che i rapporti tra le economie pubbliche e le economie solidali si presentano molto spesso in termini abbastanza problematici, specie per la crescente competizione che si verifica nel tentativo di aggiudicarsi risorse monetarie che appaiono sempre più scarse con l’aggravarsi delle crisi. E non sono risultati facili neanche i rapporti tra le monete alternative e le dimensioni politico istituzionali esistenti, per diversi ordini di ragioni, come il perdurare di un vecchio spirito competitivo nella creazione di titoli monetari di tipo tradizionale, su cui avremo modo di soffermarci più avanti. Lo sviluppo di Reti di Scambio e Credito di tipo Mutuale può contribuire però ad ampliare e migliorare notevolmente tali relazioni nel loro insieme, portando a risolvere molti dei problemi che si pongono nella ricerca di nuove forme di valorizzazione delle risorse e di finanziamento, non solo per le economie pubbliche ed ecosolidali ma anche per i sistemi politici, che a loro volta stanno conoscendo una condizione di crisi non facilmente superabile.

Le nuove generazioni dei sistemi di scambio e credito di tipo mutuale (spesso dotati di forti valenze comunitarie, ma anche economiche) rappresentano per alcuni aspetti l’espressione  più evoluta delle esperienze  di monete alternative compiute sinora, tanto da non poter risultare facilmente inquadrabili nello stesso concetto  di monete alternative. In alcuni casi si tratta infatti di sistemi di scambio ed anche di credito che funzionano senza l’impiego di una vera e propria moneta, anche se qui continueremo ad usare il termine monete alternative, seguendo solo in parte l’uso tradizionale, il che ci induce a formulare  un paio di precisazioni preliminari.

Va precisato in primo luogo che nel termine monete alternative(MA)  possono esser fatte rientrare tutti i diversi tipi di monete (o di relazioni di scambio e credito) definite locali, complementari, sociali ed anche comunitarie (così come indicato in Ruzzene 2015).  E in ogni differente modello o schema di Ma si cerca di affrontare le condizioni di crisi con strumenti a volte affini, ma da angolature che possono risultare abbastanza diverse (come indicato in North, 2012;  Criscione, 2013; Perna, 2014). Più precisamente impiegheremo il termine generico di monete alternative quando ci riferiremo ad aspetti più generali che possono riguardare tutti i tipi di strumentazioni monetarie diversi dalle monete ufficiali,  mentre ci riferiremo più in dettaglio ai singoli sistemi di scambio e di credito nella terza parte, quando ci occuperemo dei problemi specifici sollevati dai diversi modelli di “monete” o di sistemi di scambio e credito, riferendoci ai loro specifici principi costitutivi e organizzativi. E qui risulterà di particolare  importanza la distinzione tra monete dotate di un valore intrinseco e impersonale, affini in questo alle monete ufficiali, e sistemi o reti di scambio basati sui crediti nominativi, che di fatto possono funzionare senza l’uso sistematico di mezzi monetari, in quanto dotati di un loro proprio valore intrinseco e impersonale, oltre che fine a se stesso.

Possiamo dire che, in larga parte come conseguenza dell’ultima grave crisi finanziaria, la prospettiva delle monete alternative in generale ha incontrato comunque nuove fortune e nuove  condizioni di sviluppo, anche in Italia dopo anni di notevoli difficoltà ed incertezze. E tale prospettiva sta incontrando i maggiori successi proprio nelle varianti che in qualche modo possono essere ricondotte ai modelli delle ReSCom senza moneta o dove il concetto di moneta tende ad estinguersi, almeno nella sua veste di valore /potere economico autonomo o dotato di una vita propria, per essere sostituito dal concetto di crediti mutuali, nominativi ma trasferibili, e che possono svilupparsi comunque senza il pagamento di interessi e rendite monetarie.

Nelle relazioni di credito senza interessi che si sviluppano all’interno dei modelli ReSCom, una qualche forma di strumentazione monetaria compare prevalentemente come semplice unità di conto o di misura dei valori economici. La base del valore dei crediti sta nei beni scambiati. Mentre i titoli e le relazioni di credito possono risultare di diversa durata, in base agli scopi perseguiti. Possono essere di breve termine quando si vuole incentivare principalmente la crescita degli scambi economici. Oppure risultano sviluppabili nel lungo periodo se si intende sostenere il risparmio e una qualche forma di accantonamento previdenziale, finanziando il perseguimento di  fini o investimenti collettivi di lunga durata, come avviene nel caso delle economie pubbliche.

Quale esempio più concreto, già ben sviluppato di  ReSCom, basta ricordare per ora il caso Sardex  che – perseguendo principalmente l’obiettivo del rilancio degli scambi economici – in pochi anni ha visto crescere in misura esponenziale e su base regionale il numero dei suoi aderenti (in gran parte medie e piccole imprese), arrivando a superare nel 2015 le centomila transazioni annuali sviluppate in Sardegna, per un volume superiore ai cinquanta milioni di euro. Mentre sono già in corso da tempo tentativi di duplicare esperienze analoghe in altre sei regioni italiane (per approfondimenti sulle caratteristiche di fondo del modello Sardex si può vedere Dini e L. Sartori,  2013; Dini e altri 2014).

Nella parte seminariale discuteremo anche delle difficoltà a cui possono andare incontro questo tipo di esperienze dal punto di vista di un loro sviluppo sostenibile, specialmente nelle condizioni di elevata finanziarizzazione e  di crescente importanza dei beni comuni e delle loro attività di cura e gestione, che caratterizzano le società terziarie. E aspetti discutibili sono ravvisabili non tanto nelle difficoltà iniziali incontrate nei tentativi di riprodurre l’esperienza Sardex in altre regioni, quanto nelle perplessità che essa può sollevare tra i sostenitori delle prospettive ecologiche e comunitarie.

Le potenzialità di sviluppo delle monete alternative e delle ReSCom  più in particolare rimangono comunque enormi, in larga parte ancora da far emergere. Non dobbiamo dimenticare che l’esperienza delle monete alternative – concepite come mezzo principale per affrontare condizioni di crisi economico sociali del capitalismo sviluppato – conta appena qualche decennio. O conta poco più di un secolo, se vogliano estendere lo sguardo ai primi progetti di monete alternative,  concepiti in funzione anticapitalistica nel socialismo utopico e di matrice anarchica a partire dalla prima metà dell’ottocento. E si tratta comunque di archi di tempo relativamente brevi, se comparati con gli sviluppi ormai millenari dei sistemi monetari tradizionali.

 

  1. Le potenzialità dei modelli ReSCom e il ruolo della politica

 

Se valutiamo l’intera questione in termini tecnici e strutturali, astraendo momentaneamente dagli attuali rapporti di potere e dalle numerose  resistenze culturali ancora esistenti, si può dimostrare  abbastanza agevolmente che le relazioni di credito sviluppabili secondo i principi di alcuni modelli di ReSCoM possono aiutare ad affrontare in maniera decisiva non solo i fenomeni del debito crescente, pubblico e privato, ma anche i problemi legati alla perdita di un senso della misura dei valori e dei processi economici, che contrassegna specialmente i sistemi economici attuali.

Il recupero di un senso della misura dei valori economici può aiutare a conseguire un miglior equilibrio nei processi produttivi e nell’impiego delle risorse lavorative,  favorendo lo sviluppo delle produzioni sostenibili e la riduzione dei consumi superflui; e può servire per ridurre significativamente lo strapotere della stessa finanziarizzazione speculativa (per un approfondimento di questi aspetti si può vedere Ruzzene 2007, 2008, 2009 e 2015).

Infine adeguati sviluppi delle ReSCom potrebbero favorire il finanziamento di lungo termine e senza interessi delle economie pubbliche ed eco-solidali, favorendo un miglior radicamento nei propri territori, una rivalutazione delle funzioni di governo e delle progettualità politiche,   ed anche una messa in discussione significativa del dominio delle logiche competitive volte allo sfruttamento di ogni risorsa su scala globale.

Nello stesso tempo la politica e gli organi di governo nei loro diversi livelli territoriali possono giocare un ruolo più che fondamentale, decisivo ai fini dello stesso sviluppo sostenibile delle ReSCoM, fornendo loro le risorse e i quadri istituzionali più adeguati. Vedremo che non si tratta solo o tanto di risorse legislative e monetarie  nel senso usuale, sviluppabili in termini di “crediti fiscali” o di “monete complementari pubbliche” (vedi Bernabei, 2013).

Si tratta in primo luogo di risorse simboliche, necessarie per la ricostruzione di identità collettive sufficientemente solide e radicate territorialmente, che sole possono costituire la base per lo sviluppo di progettualità comuni sufficientemente ampie e proiettate nel tempo.  Ma si può pensare anche a quei necessari livelli di garanzia e di legittimità che soggetti pubblici possono assicurare alle relazioni di credito senza interessi (e senza monete) nel lungo termine, sviluppabili nelle relazioni tra i singoli, le imprese e le collettività locali nel loro insieme, a condizione che sappiano approdare alla costituzione di un patto politico stringente, collettivamente vincolante e di chiaro interesse comune.

Infine le dimensioni politico statuali possono costituire anche quella base materiale necessaria per porsi al di fuori delle logiche della crescita monetaria di tipo capitalistico. Mi riferisco specialmente a nuove forme di valorizzazione dei beni comuni, o alle attività di servizio necessarie per provvedere alla loro cura e riproduzione. Sulla base di nuovi principi di tassazione e di nuove relazioni di scambio, più responsabili ed eque, una diversa valorizzazione di tali beni ed attività può garantire infatti quell’autonomia economica (dalle logiche capitalistiche) necessaria ai fini di uno sviluppo sostenibile delle stesse economie pubbliche, solidali ed ecologiche (su tali aspetti si può vedere in particolare Ruzzene, 2013 e 2015).

 

  1. Difficoltà e limiti

 

Affinché le potenzialità indicate nel paragrafo precedente possano prender corpo bisogna però considerare attentamente le difficoltà e i limiti che hanno condizionato sinora le relazioni tra le dimensioni politico statuali e le economie pubbliche, solidali ed ecologiche (riguardo alle relazioni con le monete comunitarie e complementari vedi Blanc e Fare, 2014). E si devono modificare, in profondità, le stesse concezioni prevalenti di monete alternative, ampliandone in misura significativa sia le funzioni economiche sia le finalità socio-ambientali.

Negli ultimi decenni in quasi tutte le esperienze di monete alternative si è teso a privilegiare le piccole dimensioni e i livelli di organizzazione informali o interpersonali, ponendosi generalmente al di fuori dei contesti politico istituzionali costituiti. E tutto questo ha finito per accentuare in maniera sfavorevole il divario rilevabile tra le risorse comunque necessarie per far funzionare dei sistemi di scambi e crediti alternativi e, da un altro lato, i vantaggi concreti che questi potevano offrire ai loro aderenti o sostenitori potenziali (Ruzzene 2009, Schroeder 2013).

Per quanto riguarda i sistemi di credito di maggiori dimensioni, come il WIR svizzero, in genere si è teso a privilegiare le funzioni di scambio al fine del rilancio dell’occupazione e dei processi di crescita economica, facendo dipendere da questa anche le condizioni di miglior integrazione e identificazione sociale, come sembra avvenire ora nell’esperienza Sardex (vedi Dini e altri 2014). E comunque non sembra che in questo tipo di esperienze si tenga abbastanza conto della problematicità di una crescita economica sviluppata a prescindere dalle sue implicazioni ambientali. Né tantomeno sembra emergere con forza l’esigenza di una ridefinizione dei livelli produttivi e di consumo che il passaggio ad una fase di sviluppo economico terziario richiede inevitabilmente, ponendo nuovi problemi nelle relazioni tra economie della produzione di beni di consumo ed economie dei servizi orientati alla cura dei beni comuni, in particolare di quelle pubbliche. Queste ultime implicano infatti uno sviluppo delle attività di cura e manutenzione dei beni comuni e dei patrimoni ambientali per le quali non sembrano esserci né sufficienti risorse monetarie di tipo tradizionale né livelli di domanda esprimibili direttamente in termini di relazioni di scambio puramente economiche.

Per quanto riguarda le relazioni tra economie pubbliche e solidali ed in particolare quelle comprese nel cosiddetto terzo settore, nella realtà dei fatti si sono seguiti invece in prevalenza i principi della specializzazione delle funzioni e dei compiti, finendo per cadere in una nuova contrapposizione tra fini e valori spesso divergenti o conflittuali. E si sono riprodotti nella sostanza proprio i principi della divisione specialistica del lavoro di tipo capitalistico industriale, trovando concrete possibilità di scambio specialmente nelle dimensioni monetarie ufficiali, in cui i titoli monetari continuano a presentarsi come dotati di un valore economico intrinseco, impersonale e anonimo, che mal si presta ad esprimere i valori ed i principi delle stesse economie solidali ed ecologiche

 

  1. Superare la contrapposizione tra scambio, redistribuzione, reciprocità e principi del dono

 

Non ha aiutato certamente a risolvere i problemi appena indicati la contrapposizione – molto diffusa all’interno delle culture alternative – tra i principi della reciprocità e del dono da una parte, e da un altro lato lo scambio di beni, a fini prevalentemente economici. Ai quali sono stati contrapposti a loro volta i  principi di una redistribuzione più equa della risorse, fatti propri dagli stati nazionali per ragioni di maggior equità, ma comunque basati sulla produzione di ricchezza monetaria astratta.

Molto probabilmente una simile contrapposizione tra principi del dono, principi redistributivi e principi economici tout court (ideata da K. Polany in un contesto storico profondamente diverso dal nostro) ha contribuito a cristallizzare e rafforzare la logica della specializzazione degli ambiti e delle funzioni, contribuendo a rialimentare la competizione per l’appropriazione di risorse monetarie sempre più scarse. E questo specialmente in quanto non ha aiutato a ripensare concretamente altre forme di valore economico, di scambio e di credito che potessero adattarsi alle esigenze ed ai vincoli delle economie che in diverso modo si trovano a funzionare secondo dei principi di cura (sostanzialmente diversi dai principi di una crescita monetaria massimizzante) come avviene per le economie pubbliche ed eco-solidali.

Per andare subito al cuore della questione in gioco devono entrare ora non solo una maggior attenzione per tutti i costi economici ed esistenziali connessi allo sviluppo dei diversi tipi di attività, ma anche la rivalutazione dei processi di risparmio e di accantonamento previdenziale, nel lungo termine e sul piano complessivo, e naturalmente su basi di calcolo e di misura economica sostanzialmente diverse da quelle prevalenti.

Si tratta di aspetti che una cultura ancora sostanzialmente dissipativa ci ha portato a sottovalutare in maniera sconsiderata, lasciandoci dissociati e in balia di una falsa contrapposizione tra  un’apologia dominante dello sfruttamento strumentale di ogni risorsa disponibile e l’esaltazione radicale di un’apparente carattere illimitato (o liceità più o meno incondizionata) di quasi ogni bisogno e desiderio individuale, a cui ha fatto da pendant la pretesa di una sostanziale gratuità di una parte significativa delle prestazioni e delle risorse pubbliche necessarie per soddisfare e sostenere i  bisogni di utenti sempre più privi di responasabilità e potere decisionale.

Le conseguenze sono ormai ben note:  accentuazione  delle condizioni di debito, pubblico e privato, economico ed ecologico, ed asservimento collettivo ai poteri economici e finanziari globali (su tali aspetti si può vedere Gesualdi 2013). E ancora, anche negli interpreti più accorti,  si continua a rimanere troppo inclini a scaricare ogni responsabilità sulle banche e sulla finanza speculativa.

L’ultima crisi finanziaria sembra aver comunque portato la competizione per l’accesso alle risorse monetarie ai suoi esiti finali, privando una parte considerevole degli agenti del denaro necessario per portare avanti i loro progetti o anche per riprodurre in maniera sufficientemente equilibrata le loro organizzazioni e le stesse condizioni di esistenza comuni, almeno in una prospettiva di lungo periodo.

Di fronte alla gravità delle crisi in corso devono essere ancora trovati non solo nuovi principi per le relazioni di scambio e di credito che si possono sviluppare sulla base di vincoli ambientali e di limiti economici più solidi, sostenibili e sensati. Devono essere trovati prima di tutto  dei nuovi elementi di sintesi e di integrazione economico sociale, in grado di andare oltre a contrapposizioni che hanno ostacolato, più che agevolare, la stessa possibilità di arrivare a prospettive di trasformazione sociale più ampiamente condivise e plausibili.

 

  1. Recuperare i principi del prendersi cura per reintegrare le economie pubbliche o dei beni comuni, solidali ed ecologiche

 

Si dovrà innanzitutto andare oltre alla visione della cura (delle persone e dell’ambiente) come attività specialistica, che si dispiega a danni fatti, come avviene nel capitalismo, se non altro per i costi insostenibili che intervenire “a posteriori” comporta (vedi Ruzzene 2007, 2012 e 2015).  Il ritorno ai principi del prendersi cura, non solo della persona e dei patrimoni ambientali ma anche o soprattutto delle implicazioni sistemiche, complessive  del proprio agire, dovrebbe orientare non solo le economie pubbliche ed eco solidali ma anche tutte le attività produttive e imprenditoriali.

In questa prospettiva generale possono rientrare una pluralità di esperienze ed approcci,  come quelli di ispirazione olivettiana, di cui ci occuperemo in una sessione apposita di questa scuola, al di là dei limiti e delle problematiche che hanno portato tali esperienze ad un destino di sostanziale isolamento  ed emarginazione (per approfondimenti sull’argomento si può vedere Mancini, 2014).

Anche le prospettive delle monete alternative, sia che si presentino come comunitarie, complementari o locali, dovrebbero infine riassumere i principi del prendersi cura in una prospettiva sistemica. Ciò significa soddisfare anche l’esigenza della riduzione dei costi economici di funzionamento, propri e dell’organizzazione sociale nel suo complesso, tenendo adeguato conto delle implicazioni non solo ambientali ma anche istituzionali del proprio agire. E questo deve avvenire in primo luogo sulla base della ricostituzione dei principi e dei criteri di misura dei valori economici, oltre che del risparmio e miglior impiego o valorizzazione delle risorse naturali e lavorative disponibili, ai singoli ed alle collettività, cosi come è stato delineato all’interno del movimento della decrescita già prima dell’ultima crisi finanziaria (su questi aspetti vedi Ruzzene, 2007).

Nel recupero dei principi del prendersi cura delle implicazioni sistemiche, complessive del proprio agire può e deve fondarsi infine lo sviluppo dei  nuovi patti politici territoriali, di cui si sente un bisogno crescente ormai da tempo (vedi Magnaghi, 2000), e che risultano necessari anche per rafforzare le prospettive politiche, o per minare l’egemonia dei capitali finanziari e delle attività speculative, rilanciando una nuova prospettiva di globalizzazione o di glocalizzazione (Brecher e Costello 1996), integrata con il riferimento alle specificità dei luoghi e dei contesti culturali

 

  1. Un nuovo patto politico territoriale per proteggere le persone, il lavoro e i patrimoni ambientali

 

Lo sviluppo dei principi del prendersi cura può comportare una notevole riduzione dei costi e dei carichi di lavoro alienato e distruttivo, ma comporta anche una inevitabile riduzione della competitività degli agenti in termini di capacità di crescita produttiva (Laville, 1998; Ruzzene 2007).

Per questo tutte le attività e le organizzazioni che possono orientarsi secondo i principi del prendersi cura hanno bisogno di nuove forme di sostegno e di protezione, economica e politico istituzionale. E proprio i sistemi di scambio e di credito mutuale, sostenuti da nuovi e più stringenti patti politici territoriali, possono costituire il tessuto più adatto a sviluppare queste ormai necessarie forme di protezione, fornendo nello stesso tempo alla politica nuovi strumenti operativi, come delle adeguate strumentazioni di misura e di programmazione economica, necessarie per un miglior impiego delle risorse disponibili (Ruzzene 2013, 2015).

Si tratta in primo luogo di forme di protezione non localistiche ma ecologiche ed universaliste (Lipietz, 2012), perché la cura e la programmazione dell’impiego dei beni comuni ha implicazioni e valenze che esulano dagli ambiti locali, dispiegandosi e facendosi valere appunto in ambito universale. E tutto questo dovrebbe infine conferire nuove valenze e nuova forza allo stesso impegno politico per la difesa dei territori, del lavoro, dei patrimoni ambientali e dei beni comuni, come avremo modo di vedere in maniera più dettagliata nella parte seminariale.

Per chiudere questa prima sintesi introduttiva è opportuno aggiungere che se si vuole sostenere simili prospettive di “sviluppo” (come cambiamento economico sociale di tipo sistemico) si deve saper andare oltre anche ad una ulteriore serie di contrapposizioni e dualismi, che hanno lacerato i movimenti e le prospettive della trasformazione sociale specie nel corso del novecento, e che continuano a dominare le concezioni e le pratiche di cambiamento ancora oggi prevalenti.

Non si tratta solo di superare la contrapposizione tra prospettive immediate (o pratiche) e prospettive di lungo periodo (o strategiche), e tra piccole dimensioni dominate dalle relazioni interpersonali e dimensioni più ampie di tipo sistemico e istituzionale (vedi Ruzzene, 2006). Si tratta anche di superare la contrapposizione tra cambiamenti di base o dal basso e trasformazioni  istituzionali sviluppabili in vario modo nelle dimensioni politico statuali, cercando infine di conciliare le esigenze della radicalità nell’analisi delle cause della crisi con il carattere realistico, o pratico dei cambiamenti a cui si può dar avvio nell’immediato.

La sostenibilità nel tempo dei cambiamenti immediati si può dare infatti solo se questi vengono concepiti in prospettive di più lungo periodo. Così come queste ultime possono prendere corpo sulla base di una più o meno ampia serie di cambiamenti cumulativi che possono prendere avvio a loro volta solo dalle condizioni e dai movimenti di cambiamento già esistenti.

 

  1. Sul rapporto tra “teoria e pratica”, attività di ricerca / formazione e sperimentazione sul campo

 

Una ricerca teorica solida e rigorosa non può prescindere da tali condizioni, in primo luogo dal riferimento ai rapporti di potere costituiti e dai tentativi compiuti in direzione di una loro trasformazione più o meno ampia. Di entrambi gli aspetti si deve però saper denunciare anche limiti ed incongruenze, sulla base di un’analisi approfondita delle condizioni di sviluppo e delle potenzialità strutturali esistenti, che possono maturare appunto anche in prospettive di lungo periodo.

Ciò che sembra inattuabile oggi,  alla luce delle concezioni e dei rapporti di potere costituiti, può diventare una condizione necessaria ed inevitabile nel giro di qualche anno, come accade spesso in condizioni di crisi sistemiche molto ampie, profonde e prolungate, come quelle che sembrano contrassegnare la fase storica attuale (per approfondimenti vedi Ruzzene, 2008/2014).

Ma queste possibilità di cambiamento potranno svilupparsi solo se si saranno preparate in qualche modo le condizioni per la loro affermazione, sia sul piano della rappresentazione teorica sia sul piano della sperimentazione di nuove pratiche collettive. Il che vuol dire appunto cercare di reintegrare le dimensioni della ricerca teorica con quelle della pratiche di base, riconoscendo ad entrambe autonomia relativa e pari dignità propositiva, anche all’interno di un confronto dialettico puntuale e stringente. Ciò vale naturalmente pure per le attività di ricerca e formazione riguardanti le cosiddette Monete alternative, o più in particolare per lo sviluppo delle reti di scambio e di credito di tipo comunitario e mutuale, di cui ci dovremo occupare più in dettaglio nelle parti successive.

 

Riferimenti bibliografici

 

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– Criscione, Teo (2013), Sistemi monetari alternativi, Tesi in Sviluppo Economico e Cooperazione internazionale, Università degli studi di Firenze.

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